nel frammento

NUMERO 3 / ANNO 2014

QUESTO È IL PIÙ GRANDE FRUTTO

di Barbara Braconi

È ormai divenuto quotidiano svegliarsi al giorno ed essere raggiunti da tragiche notizie di stragi, solitamente familiari; pare essere diventato normale che un uomo possa uccidere la donna che amava e i propri figli per liberarsi della responsabilità di una famiglia che sente ormai come una gabbia oppure per l’impossibilità di accettare una separazione subita… Mi capita spesso di ascoltare amici e parenti che dicono di non seguire più il telegiornale per non sentire queste cose, mentre altri commentano stancamente che non si può continuare così, che nemmeno le bestie si comportano in questo modo, che bisognerebbe stabilire pene più severe per scoraggiare altri dal commettere gli stessi crimini e così via. Raramente accade di fermarsi a riflettere su cosa dicono di noi simili fatti e di accorgersi che il Bene continua comunque sempre a mostrarsi presente e vincitore. Da tre anni e mezzo ci sono un padre e una madre che, segnati dal profondissimo dolore dell’uccisione di una figlia appena tredicenne, appaiono pochissimo in televisione mostrando sempre una dignità, un rispetto, un governo di sé e un’unità fra loro che parlano più di mille parole. Sono i signori Gambirasio che anche nelle ultime settimane, al fermo del presunto assassino della loro figlia Yara, hanno semplicemente detto che pregano per lui e hanno chiesto di fare altrettanto. La silenziosissima testimonianza di una famiglia così è più grande di tutto il male a cui possiamo prestare il fianco. Mai una parola fuori posto, mai un’espressione di rabbia o di cattiveria… Come può una famiglia vivere così? Non possiamo non domandarcelo e non lasciarci provocare dallo splendore della loro testimonianza. Siamo continuamente circondati da un gran numero di testimoni passati – di questi 2000 anni di storia della Chiesa – e presenti; dipende da noi accorgercene e volerli seguire. In queste ultime settimane abbiamo tutti conosciuto la struggente storia di un’altra mamma che in Sudan ha rischiato la pena di morte per essere cristiana. Meriam Yahia Ibrahim, abbandonata sin da piccola dal padre musulmano e cresciuta con la mamma cristiana, è stata accusata di apostasia dai parenti del padre, dopo essersi sposata con rito cristiano. A febbraio di quest’anno è stata incarcerata col figlioletto di nemmeno due anni e in attesa di un secondo figlio nato in carcere il mese scorso. Condannata a cento frustate e all’impiccagione, ha commosso il mondo rifiutandosi di convertirsi all’Islam dicendo: “Sono cristiana e resterò cristiana”. Ora Meriam è stata scarcerata grazie all’intervento diplomatico internazionale; la sua fermezza e la sua fedeltà, che richiamano alla memoria i martiri dei primi secoli del Cristianesimo come Felicita e Perpetua, restano per tutti una testimonianza grandissima di cosa significa che Gesù è la vera vite e che noi siamo i tralci, di cosa significa che senza di Lui non possiamo fare nulla. Ho voluto evidenziare particolarmente due storie ma nel mio quotidiano sono – come tutti – circondata un gran numero di testimoni che nelle piccole cose come nelle grandi sono un richiamo continuo alla mia conversione e un sostegno grandissimo al mio cammino. “Cercare, guardare e seguire ogni giorno il volto dei santi, così come l’umanità radiosa di uomini e donne semplici, di testimoni segnati non da particolari capacità ascetiche e morali ma solo da una permanente e radica tensione alla presenza di Gesù, è l’esperienza reale e facile per continuare ad incontrare e a lasciarsi incontrare dal Suo sguardo, dalla luce del Suo volto, dallo splendore della Sua presenza. Perché possa attirarci a Lui e ardere in noi” (Nicolino Pompei, Guardate a Lui e sarete raggianti). Anche questo numero della nostra rivista è un’ulteriore espressione dell’essere circondati da un gran numero di testimoni che possiamo guardare e seguire e che con la loro vita ci testimoniano la necessità, la bellezza e il guadagno di vivere nella coscienza del nostro essere tralci, sempre spalancati e mendicanti della presenza della vite che ci fa essere. Solo rimanendo attaccati a Gesù come i tralci alla vite possiamo portare frutto. E il più grande frutto è che attraverso di noi e nel nostro amore vicendevole Gesù possa continuare a mostrarsi vivo e presente, possa continuare a mostrarsi nella storia l’amore di Gesù che rivela l’amore di Dio per ogni uomo (cfr Nicolino Pompei, Senza di me non potete fare nulla).

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