Questa estate con alcuni amici, non professionisti ma appassionati di musica e di canto, abbiamo avuto l’occasione di addentrarci nella musica popolare alla scoperta delle meraviglie di questo patrimonio culturale. Il tutto è scaturito dalla provocazione proveniente dalle immagini che ci sono giunte dal Messico dopo il terribile terremoto del settembre 2017, quando squadre di operai e gente comune, al lavoro per recuperare i corpi intrappolati sotto le macerie, intonavano Cielito Lindo...
da Nel Frammento anno XVI n.3/2018
“L’Arte, non solo ideale rappresentanza del Bello ma al servizio dei Popoli, aiutando a penetrarne l’immensa Cultura”. Questa affermazione del compositore russo Modest Musorgskij mi sembra realmente adatta a descrivere sì l’arte, ma vorrei usarla in questo caso per descrivere la musica e più propriamente la musica e la canzone popolare, visto che lo stesso Musorgskij, non a caso, sebbene sia stato un musicista del periodo romantico, è da ricordare come appartenente al cosiddetto Gruppo dei Cinque, compositori che alla loro musica conferirono un’impronta nazionale, e anche nazionalista, intesa come riscoperta delle musiche russe tradizionali e del loro impatto sulla cultura nazionale. Questa estate con alcuni amici, non professionisti ma appassionati di musica e di canto, abbiamo avuto l’occasione di addentrarci nella musica popolare alla scoperta delle meraviglie di questo patrimonio culturale. Il tutto è scaturito dalla provocazione proveniente dalle immagini che ci sono giunte dal Messico dopo il terribile terremoto del settembre 2017, quando squadre di operai e gente comune, al lavoro per recuperare i corpi intrappolati sotto le macerie, intonavano Cielito Lindo, un canto della tradizione popolare messicana. Un canto intonato spontaneamente nel mezzo dell’oscurità, nel mezzo della tragedia, della morte, del tremore: con le parole semplici come quelle di una filastrocca da bambino ma con la potenza di un popolo che canta, che afferma un’appartenenza e che si rivolge come con una preghiera al Cielo. Questo lavoro ci ha consentito di trovarci di fronte ad una immensa bellezza che abbiamo voluto assaporare attraverso un percorso che facesse sentire e vedere come, spostandosi nelle varie parti del mondo alla ricerca dei più belli e dei più significativi canti popolari, cambiano certamente le parole, perché ogni popolo ha la sua storia, la sua tradizione e la sua lingua, ma cambiano anche le melodie, la musicalità, i ritmi, i colori... Ogni area culturale infatti ha una sua tradizione musicale e quindi canora dove gli stili vocali differiscono fra loro, così come gli strumenti musicali, i modi e le forme. Mentre il canto operistico, pur nelle diverse tecniche o scuole di pensiero, viene studiato e praticato allo stesso modo ovunque nel mondo, il canto popolare, rispecchia la cultura millenaria dei popoli dove nasce, poi si propaga libero e diverso nei vari angoli della terra. L'attività canora si è sviluppata in ogni attività umana: individuali o corali i canti propiziatori, rituali, di lavoro, di guerra, funebri, d'amore, contemplativi scandiscono da sempre ogni manifestazione della vita umana. Lo studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitré ha scritto che in genere gli autori dei canti popolari, gente molto umile, componevano i brani alla fine del lavoro durante le ore di riposo. I canti venivano trasmessi oralmente fino a diventare una composizione di patrimonio collettivo: ecco perché la musica di origine tradizionale non appartiene ad un autore ma “al gruppo sociale, che lo conserva e lo riproduce per mezzo della memoria viva delle persone. Essa è tramandata ai membri più giovani del gruppo attraverso la pratica diretta e non attraverso scuole o libri”. Le varianti, di conseguenza, sono talmente numerose che non esiste una versione che si può dire “originale”... Inoltre, la musica popolare è sempre legata a uno scopo, condiviso con tutta la collettività: ogni canzone esiste per essere eseguita in una determinata occasione sociale. Ecco allora i canti epici che narrano imprese e storie eroiche (molto diffusi nei Balcani e in nord Europa e nel Medio Oriente), le ballate (come le canzoni da taverna britanniche o irlandesi o quelle leggendarie o umoristiche scozzesi), i canti di lavoro (come quelli afroamericani da cui sono scaturiti il gospel e lo spiritual, o gli street cries, le rime inizialmente urlate poi abbinate a linee melodiche per richiamare l’attenzione nei mercati inglesi), i canti rituali (dai riti ancestrali africani ai festeggiamenti per la Pasqua), gli inni (patriottici, mitologici o religiosi), le filastrocche o le ninna nanne, etc... Quindi se si volesse descrivere anche per sommi capi gli innumerevoli canti popolari nel mondo non basterebbe una corposa enciclopedia. Noi ne abbiamo proposto un piccolo “assaggio”: dalle sonorità del Messico con Cielito Lindo appunto, ai ritmi delle canzoni folk irish che si intonano nei pub irlandesi; dalla celebre melodia di El Condor Pasa del Perù ai ritmi tradizionali della musica ebraica; dalla vivacità dei canti spiritual e gospel al coinvolgente canto africano Siyahamba. E la musica popolare italiana? La canzone popolare italiana dimostra che l’Italia differentemente dagli altri paesi ha ancora intrisi nella sua “linfa genetica” retaggi culturali derivanti delle varie dominazioni straniere, che si rispecchiano in una singolare diversità stilistica tra canti popolari del nord, del sud e del centro. Che meraviglia e che differenza infatti è stato passare da Je te vurria vasà, elevata espressione della canzone napoletana, a Badde Luntana, canzone sarda che narra il dolore e la preghiera di una mamma che rievoca la morte di un figlio; da Madonnina del Mare originaria dell’Isola del Sole (comune di Grado in Friuli Venezia Giulia) a Nuttate de lune, canto che narra la trepidante attesa delle mogli dei pescatori, proposta nel 1931 al Primo festival della Canzone tenutosi a S. Benedetto del Tronto. Allora, quali sono le caratteristiche della canzone popolare italiana? A differenza di altri Paesi come la Francia (dove le radici del vaudeville derivarono dalla chanson del Cinquecento) o la Germania (con il suo particolare connubio fra musica e poesia, il lied), in Italia per molti anni si è mantenuta una netta separazione fra le composizioni derivanti dalla cosiddetta musica colta (come le romanze da salotto o le operette) e le canzoni popolari in dialetto. In particolare, le tradizioni musicali locali hanno avuto molta difficoltà a superare il proprio confine territoriale, con le significative eccezioni della canzone napoletana e, in forma molto minore, di quella romana e milanese. La separazione fra i due stili iniziò ad attenuarsi solo a cavallo fra XIX e XX secolo (anche con l'influenza del café-concert francese) e poté dirsi superata solo con la fine della Prima guerra mondiale. Alle ricerche dell’etnomusicologo Giulio Fara si deve una suddivisione dell’Italia secondo un’idea del canto popolare come forma cantata. Secondo il suo punto di vista esisterebbero due zone: l’alpina, che comprende il nord, più legato alle radici celtiche e che presenta per lo più canzoni narrative, e l’italica, che abbraccia il centro sud, legato al canto creativo e d’amore in cui lo sviluppo della forma ha un peso centrale. Queste sono comunque indicazioni di massima, suscettibili di ampie eccezioni, per influenza della musica da ballo o delle culture etniche locali che propongono repertori specifici legati a tradizioni anche extra-nazionali. Le linee melodiche arcaiche, di tradizione orale, da alcuni anni vengono tenute in considerazione da compositori di alto livello che, prendendo il materiale in questione, dopo una lunga ricerca delle tradizioni folkloriche locali, lo elaborano trasformandolo in una vera e propria opera polifonica, fissandolo così nel tempo e nello spazio e conseguentemente salvaguardando un patrimonio culturale di inestimabile valore che, altrimenti, andrebbe perduto. Grazie a questo lavoro è stato possibile per noi accedere a degli spartiti e, cercando al contempo di immedesimarci al contesto narrativo e al vissuto emotivo di ogni brano musicale che abbiamo proposto, ne abbiamo toccato il cuore pulsante. Il cuore di un popolo che esprime nel canto la sua storia, i suoi sentimenti, i suoi ideali, gioie e dolori, amore e nostalgia, fede e appartenenza.
Milena Crescenzi
per info su visite guidate e noleggio della mostra Cantate un canto nuovo