A Milano il 12 dicembre scorso sono state commemorate le diciassette vittime della strage di Piazza Fontana in occasione del suo 40° anniversario. In contrapposizione al corteo formato dalle autorità civili e dai parenti delle vittime, si è assistito alla sfilata di Rifondazione Comunista, Pdci e diversi gruppi di sinistra o anarchici, che hanno scelto di manifestare contro la «strage di Stato» e in memoria dell'anarchico Giuseppe Pinelli, uno degli imputati coinvolti nel fatto, morto prima del processo. Come precedentemente accaduto già alla stazione di Bologna in occasione del ricordo delle ottantacinque vittime dell’attentato del 2 agosto 1980, a Milano sono stati rivolti fischi ed insulti alle autorità civili presenti, nonché grida di “vergogna” per non aver ancora fatto giustizia, che sono poi sfociati in tafferugli e scontri con le forze dell’ordine (La strage di Piazza Fontana).
Il giorno seguente, sempre nella capitale lombarda, al termine di un comizio al centro di Piazza Duomo, ad essere colpito è stato addirittura il nostro Presidente del Consiglio, e stavolta non da insulti: Massimo Tartaglia, un uomo dai diagnosticati problemi psichici, si è letteralmente scagliato contro il Premier, colpendolo violentemente al volto con un souvenir del Duomo, davanti agli occhi impotenti ed attoniti della folla e delle guardie del corpo (L'aggressione al Presidente del Consiglio).
Ed ancora il 16 dicembre all’università Bocconi è stato rinvenuto, in un'intercapedine tra uno sgabuzzino e un corridoio sotterraneo, un rudimentale ordigno contenente una discreta quantità di dinamite, solo parzialmente esploso durante la notte, per un difetto del congegno stesso, dovuto probabilmente all’imperizia dei costruttori. L’attentato, che non ha mietuto vittime, è stato rivendicato al quotidiano Libero dalle «Sorelle in armi - Nucleo Mauricio Morales/Federazione Anarchica informale» con un volantino che riporta lo slogan “Chi non terrorizza si ammala di terrore”, per intimare la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione considerati campi di concentramento per gli immigrati.
La stessa firma «Federazione Anarchica informale» (Fai) è anche apparsa il giorno prima su una busta contenente un portafoglio imbottito di polvere esplosiva, deflagrato sulla scrivania del direttore del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), rimasto fortunatamente illeso.
Paradossalmente, dall’altra parte, c’è anche chi protesta invece per la presenza di extracomunitari in Italia, perché si trova a subire una fastidiosa convivenza. Difatti nei primi giorni del 2010, Rosarno, piccolo comune della provincia di Reggio Calabria, è stata teatro di uno “spettacolo” da far west: l’ormai datata presenza nella zona di cinquemila immigrati per la maggior parte clandestini, sfruttati dalla malavita come manodopera per la raccolta degli agrumi, ha fatto insorgere una vera e propria rivolta di alcuni cittadini che, rispondendo a formali proteste di alcuni extracomunitari, oltre a occupare strade ed uffici pubblici, chiedendo anche la chiusura dei centri di accoglienza, hanno deciso di farsi giustizia da soli con vere e proprie aggressioni. Il bilancio è di trentotto feriti, comprese le forze dell’ordine, danni ad auto, cassonetti, negozi ed abitazioni; si è parlato di vere e proprie scene di guerriglia urbana nella Piana di Gioia Tauro.
Ancora a Milano il 18 novembre, cinque studenti della Statale sono stati vittime di aggressioni da parte di coetanei dei centri sociali, che li hanno forzatamente portati alla chiusura della libreria Cusl, legata a Comunione e Liberazione. Questo episodio trova origine il 3 ottobre, quando il ventiquattrenne Valerio Ferrandi con quattro compagni di un gruppo anarchico hanno preteso con la violenza l’agibilità della fotocopiatrice della libreria Cusl per stampare gratuitamente seicento loro volantini. I ciellini malmenati, dopo aver denunciato gli aggressori, sono stati ulteriormente vittime di una vera e propria dichiarazione di guerra aperta: è stata proclamata alla Statale una giornata contro CL ed i nomi dei ragazzi della Cusl sono stati scritti su un lenzuolo appeso in atrio, sotto le parole “nuocciono gravemente alla libertà” (Il Giornale 19/11/2009).
Ciò che si ritiene morale si trasforma in violenza
È un clima da guerra civile: come rivendicato dalla Fai “l’indignazione morale si trasforma in azione”, la violenza dei gesti si sta pericolosamente sostituendo alla anche più concitata contrapposizione verbale.
In nome di una presunta solidarietà si abbracciano le armi, senza la minima remora riguardo alla evidente contraddittorietà di queste posizioni.
Quello che più preoccupa è l’istintività di questi gesti, che, a differenza delle contestazioni degli anni di piombo, comunque deplorevoli, sembrano scaturire da singoli o da gruppi isolati dell’ultimo minuto, portatori di un pensiero privo di una qualsiasi base culturale-filosofica; un pensiero che infatti passa all’azione in maniera irragionevole, non programmata, solo per l’apparente gusto di dire ed affermare con qualsiasi mezzo ciò che passa per la testa.
Particolarmente l’attentato al Premier dice un attacco alla democrazia stessa, aggravato da commenti irrispettosi e diffamanti divulgati da esponenti politici fino alle più famose piattaforme di social network, tipo facebook.
Aldilà di un disputa prettamente politica, non si può dimenticare che il Presidente del Consiglio è stato votato dalla maggioranza degli italiani, e quindi eletto democraticamente, cioè dal popolo. Attentare alla sua vita e alla veste istituzionale significa attentare alla democrazia, alla voce ed al potere del popolo.
Questo clima di sfiducia ed ostilità, che non si fa fatica ad estendere nei confronti di gran parte delle più alte cariche istituzionali, si concretizza anche nell’assurdo pregiudizio che si possano architettare ad arte questi attentati ad personam per fare proseliti con l’arma del vittimismo.
È questo un vero e proprio stravolgimento del corretto pensiero, perché parte da una concezione viziata e pregiudizievole di sfiducia nei confronti dell’altro. Siamo così fuori dalla possibilità di concepire il rapporto con l’altro, sempre diverso da noi, come risorsa e strumento per il raggiungimento di un bene comune, che può passare anche attraverso i toni accesi propri di un genuino dibattito politico. Senza dialogo non ci sarà mai progresso.
Le minoranze anarchiche, che cercano una giustizia fai da te con la forza delle armi, inneggiando ad un mondo migliore, sono i primi promulgatori di un clima di odio e di terrore, che destabilizza ogni equilibrio civile e non apre ad alcuno spiraglio di dialogo comune e quindi di miglioramento. Come si può spiegare la violenza come giusto mezzo per affermare singole posizioni? Cosa di positivo si può così raggiungere? Nessuna critica a qualsiasi livello può legittimare una logica che sembra ormai diventata di guerra e che rischia di mettere da parte i bisogni primari ed i diritti inviolabili dei cittadini per privilegiare ideologie personali.
Stiamo assistendo ad una pericolosa trasposizione da un sano dibattito socio-politico ad un ideologico conflitto tra bene e male. Un male che viene focalizzato ora su un partito politico, ora su una persona fisica o su una certa categoria di individui, fino allo stesso sistema politico economico. Come è stato evidente nella rivolta di Rosarno e nella bomba alla Bocconi, l’assurdità sta nel fatto che parti tra loro contrapposte (cittadini contrari o in difesa degli immigrati) usano gli stessi mezzi per contrastare quello che da ciascuno viene individuato come male, cioè la repressione violenta fino all’annientamento fisico del nemico.
Il presunto bene viene così affermato estinguendo il male o colui sul quale lo si proietta.
Come possiamo parlare di bene comune, di solidarietà, di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo se basta pensarla diversamente, e quindi essere diverso dall’altro, per scatenare una lotta fratricida?
In relazione a questa odiata diversità, ed in particolare riferendosi ai tragici accadimenti di Rosarno, all’Angelus del 10 gennaio 2010 il Santo Padre ci insegna: “Bisogna ripartire dal cuore del problema! Bisogna ripartire dal significato della persona! Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura, e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita. La violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano! Invito, a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita e che Dio lo ama come ama me”.
Il problema è anzitutto umano. Reclama un accordo di sguardo, di orizzonte. Esige una lealtà di fondo, un arrendersi all’evidenza che la vita propria, e di ciascun uomo, è data, donata. Occorre non tacitare la domanda di senso e significato, la ricerca dell’origine e del destino della propria vita, quella che, fosse solo per un attimo, di fronte alle devastanti immagini del recentissimo terremoto di Haiti, ogni uomo non può non aver risentito. Senza questo necessario presupposto cosa diventa l’affermazione di un ideale, cosa può muovere una intraprendenza politica, come si può pensare di costruire qualcosa a vantaggio dell’uomo nella sua interezza e a sostegno di ogni uomo, che rimane di un inevitabile e necessario confronto e dialogo tra punti di vista discordanti?
Che questi ultimi fatti accaduti siano un monito e non vengano sottovalutati da nessuno per la gravità e l’urgenza che stanno richiamando .