Una “sveglia” da padre della Chiesa, così è stata definita la lettera che Benedetto XVI ha voluto inviare il 12 marzo ai confratelli del ministero episcopale per chiarire la questione sui vescovi lefebvriani.
L’acceso dibattito si era aperto quando il 24 gennaio il Santo Padre rimetteva la scomunica ai quattro vescovi seguaci di mons. Marcel Lefebvre, consacrati nel 1988 senza mandato della Santa Sede (Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta) come atto di misericordia a favore dell’unità dei credenti, tentando così di sanare una ferita aperta nella Chiesa da oltre trent’anni.
Occorre innanzitutto comprendere meglio l’origine della scisma ad opera di Lefebvre.
ASPETTI STORICI
Sacerdote dal 1929, membro della Congregazione dello Spirito Santo dal 1932, venne eletto e consacrato vescovo nel 1947 poi arcivescovo dal 1948. Vicario Apostolico (1947-55) e primo arcivescovo (1955-62) di Dakar, delegato per le missioni dell’Africa francese (1948-59), vescovo di Tulle (1962), divenne in seguito superiore generale (1962-1968) della Congregazione dello Spirito Santo e fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (1970).
Come superiore generale dei Padri dello Spirito Santo Lefebvre partecipò al Concilio Vaticano II dopo aver fatto parte nel 1962 della sua Commissione preparatoria, chiamatovi da Papa Giovanni XXIII che, quale segno di particolare benevolenza, volle nominarlo Assistente al Soglio Pontificio. Durante il Concilio assunse un atteggiamento fortemente critico nei confronti del rinnovamento liturgico, della collegialità episcopale, dell’ecumenismo e della libertà religiosa, che secondo lui avrebbe lasciato "a tutte le false religioni la libertà d'espressione" in uno spirito "liberale ecumenico".
Per mantenere viva la tradizione liturgica fondò nel 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con un proprio seminario ad Ecône, in Svizzera, bollato dai vescovi francesi come un seminario selvaggio, che cercarono poi di ottenerne la chiusura per la formazione e la mentalità ostile al Concilio Vaticano II e per alcune irregolarità formali nelle ordinazioni (ad Écône confluivano molti seminaristi da diverse diocesi senza l'approvazione dei propri vescovi).
Il 19 marzo 1975 Lefebvre dichiarò che non si sarebbe mai separato dalla Chiesa, ma ciò non fu sufficiente a ridurre l'ostilità di parte delle gerarchie svizzere e francesi. Dopo le inchieste e lunghe procedure ecclesiastiche mons. Pierre Mamie, arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, in stretto accordo con la conferenza episcopale svizzera e il Vaticano ritirò il riconoscimento canonico e ordinò la chiusura del seminario di Ecône (1975). Lefebvre rifiutò di accettare questa disposizione e disattese la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di aprire nuove case. Continuò inoltre ad ordinare sacerdoti, in modo valido anche se non perfettamente legittimo. Nel luglio 1976 venne sospeso a divinis da papa Paolo VI, gli fu cioè imposto il divieto di celebrare i sacramenti. La "Messa proibita" che egli celebrò a Lilla nell'agosto 1976 davanti a 10.000 fedeli ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme. Pur avendo avuto un incontro con Paolo VI, nel settembre 1976, rifiutò di sottomettervisi per motivi di coscienza.
La chiesa cattolica non volle comunque mai interrompere il dialogo. Giovanni Paolo II, poco dopo la sua elezione, invitò il vescovo ad un’udienza privata.
Un più risoluto tentativo di riconciliazione tra la Santa Sede e Lefebvre fu compiuto nel 1988, quando Giovanni Paolo II inviò una lettera all’allora cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in cui tracciava le linee di una proposta che permettesse alla FSSPX di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede apostolica. Su questa base ebbero luogo diversi incontri tra due apposite delegazioni, fino a raggiungere l’accordo su un protocollo firmato il 5 maggio 1988.
Il documento comprendeva una dichiarazione di ordine dottrinale e il progetto di un dispositivo giuridico, nonché di misure destinate a regolare la situazione canonica della FSSPX e delle persone a essa collegate. Si ipotizzava inoltre la creazione di una commissione vaticana per coordinare i rapporti con i dicasteri della Curia romana e con i vescovi diocesani, come pure per risolvere i futuri problemi. In tale documento, Lefebvre, a nome suo e della FSSPX, promise obbedienza alla Chiesa e al Papa, dichiarando di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici e riconoscendo la validità dei nuovi riti della Messa.
Il giorno dopo Lefebvre ritratterà, affermando di essere caduto in trappola e di non potersi astenere dall'ordinare un vescovo il 29 giugno successivo allo scopo di garantire un suo successore alla Fraternità.
Il Papa, con immenso amore paterno, tentò ancora una volta di evitare lo scisma, concedendo l’ordinazione di un vescovo, ma Lefebvre rispose per iscritto che aveva bisogno di non uno ma tre vescovi. Il cardinale Ratzinger gli rispose che permanendo questo atteggiamento di disobbedienza, il permesso di consacrare un vescovo il 15 agosto sarebbe stato ritirato.
Lefebvre, ritornato in Svizzera, chiese inoltre di avere la maggioranza dei membri della istituenda commissione romana. Di fronte al rifiuto di Roma, ferma sulla concessione di un solo vescovo e sull'equilibrio prestabilito per la commissione, e di fronte all'invito a rimettersi in piena obbedienza alle decisioni del Papa, Lefebvre, in una lettera del 2 giugno, espresse l’opinione che il momento di una collaborazione franca e efficace non era ancora giunto e dichiarava di voler procedere alle ordinazioni episcopali anche senza mandato pontificio, mandando di fatto a monte il paziente lavoro diplomatico di Ratzinger.
Nonostante un'ammonizione formale (17 giugno), il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinò quattro vescovi (uno in più di quanto aveva annunciato in precedenza), compiendo in tal modo un atto scismatico (a norma del canone 751 del Codex iuris canonici) avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Di conseguenza sia Lefebvre, sia i vescovi da lui consacrati incorrevano ipso facto (cioè con lo stesso porre in essere l'atto) nella scomunica latae sententiae ("sentenza già data", ovvero vi si incorre per lo stesso fatto di porre il gesto) il cui scioglimento è riservato alla Sede Apostolica.
INTERVENTO CHIARIFICATORE DEL PAPA
La lettera che il Pontefice Benedetto XVI ha inviato, giovedì 12 marzo 2009, ai Vescovi della Chiesa cattolica riguardo la remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre nel 1988, è stato definito un caso inconsueto, singolare e straordinario. Elaborata da lui personalmente e firmata da due lettere uguali, una in italiano e una in tedesco, siamo in presenza di uno scritto straordinario, un testo fra i più belli e articolati che il Magistero dei Papi abbia mai prodotto, che ha di certo suscitato la positiva reazione dei mass media come della autorità ecclesiali.
Scriveva con forza su Avvenire del 13 marzo il giornalista Gianni Cardinale parlando della lettera del Papa che seguiva la decisone di rimettere la scomunica ai vescovi lefebvriani “la «parola chiarificatrice» scritta da Benedetto XVI sulla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani incanta e ad un tempo conforta. Incanta perché scritta con uno stile e un linguaggio non solo poco usuali, ma inediti. Egli si rivolge ai confratelli vescovi – ma, ovvio, non solo a loro – con il cuore in mano. E un tono molto personale. E con il candore di chi non ha nulla di proprio da difendere. Ammette quegli alcuni «sbagli» intercorsi nella vicenda (assumendosi in prima persona le responsabilità), e propone dei rimedi anche molto concreti (vedi l’uso di internet). Confessa in modo disarmato il dolore provato dagli attacchi subiti, sferrati da chi non aveva capito o non ha voluto capire il suo gesto di misericordia. A tutti spiega o, meglio, rispiega il perché di questa decisione. Lo fa con profonda umiltà e con grande energia interiore…”.
Sempre su Avvenire Dino Boffo afferma commosso che “Benedetto si è messo in gioco perché la sua coscienza nitida glielo consentiva, anzi per certi versi glielo imponeva. Ha rivendicato una coerenza antica di contributo a livello teologico e magisteriale sulla questione del rapporto con gli ebrei, indispettito che per l’insipienza di qualcuno tale rapporto potesse anche solo per un istante incrinarsi… Nessuno può irridere o strumentalizzare il gesto buono della mano tesa…”.
Anche la Conferenza Episcopale Italiana con le parole del suo Presidente ha voluto ringraziare Benedetto XVI attraverso un Comunicato per la continua e profonda testimonianza di fede, speranza e carità rivolta al mondo intero: “Desideriamo esprimere profonda gratitudine al Santo Padre per la sua «parola chiarificatrice» in ordine alle polemiche, sorte in seguito alla revoca della scomunica a quattro Vescovi, consacrati nel 1988 senza mandato della Santa Sede. Già pochi giorni dopo l’annuncio del provvedimento il Presidente della CEI, Card. Angelo Bagnasco, nella prolusione al Consiglio Episcopale Permanente del 26-28 gennaio 2009, aveva espresso l’apprezzamento dell’intero Episcopato italiano per tale atto di misericordia, manifestando al contempo il disappunto per le infondate e immotivate dichiarazioni di uno dei Vescovi interessati circa la Shoah. Ne è seguita, tuttavia, «una discussione di tale veemenza», che ha distolto dalla preoccupazione di Benedetto XVI, rivolta unicamente alla causa dell’unità della Chiesa. I Vescovi e le comunità ecclesiali che sono in Italia si stringono con affetto filiale al successore di Pietro e rinnovano l’impegno a «imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà» e soprattutto«la priorità suprema: l’amore », secondo le accorate e persuasive parole del Santo Padre” (Comunicato della CEI).
LE PAROLE DEL PAPA
Il contenuto della lettera del Santo Padre è a dir poco straordinario perché da una parte ci svela l’uomo, il padre che amando così tanto i suoi figli non ha timore di manifestare i suoi più profondi sentimenti solo per far condurli alla Verità, e dall’altra il lucido teologo che con intelligenza ed una logica efficace ripercorre i passaggi storici e razionali che hanno condotto la Santa Sede alla volontà di ricondurre all’ovile tanti fedeli da troppo tempo lontani.
Con grande umiltà Benedetto XVI si sente spinto a rivolgere ai Confratelli nell’Episcopato, dopo la valanga di proteste ed incomprensioni, “una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede”.
Il Papa lamenta il fatto che “il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa”.
Spiega, poi, il senso profondo della scomunica e la distinzione che deve farsi tra il livello disciplinare e dottrinale della remissione della stessa, aprendo così un aspetto importante del tutto taciuto dai critici: “La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno…La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa… la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa”.
Per questo il Papa intende “collegare in futuro la Pontificia Commissione Ecclesia Dei – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la Dottrina della Fede” al fine di lavorare e dialogare sull’accettazione del Concilio Vaticano II (che porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa) e del magistero post-conciliare dei Papi.
Il Papa ricorda, poi, qual è la sua missione essenziale, qual è cioè “la prima priorità” che Gesù ha affidato a Pietro (“Tu... conferma i tuoi fratelli” Lc 22, 32) e quindi spiega che oggi – “in questo nostro momento della storia” in cui “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini” – la “priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro” non può non essere che questa: “Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia”.
La logica conseguenza che Benedetto XVI ha a cuore è l’unità dei credenti e quindi il dialogo interreligioso, anche nelle riconciliazioni piccole e medie; difatti chi, nella comunità cattolica, si mostra così attento al dialogo con le altre confessioni cristiane e con le altre tradizioni religiose non può poi pretendere che rimanga sbarrata la porta verso una realtà che comunque conta migliaia di fedeli e 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli. Di certo, però, il Papa continua a biasimare il “caso del Vescovo Williamson” che si è sovrapposto alla remissione della scomunica in maniera imprevedibile.
Il Santo Padre soffermandosi su un tratto della lettera di San Paolo ai Galati -“Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”- ci ricorda che noi oggi, in fondo, non siamo migliori di quei Galati. E che “purtroppo questo mordere e divorare esiste oggi nella Chiesa come espressione di una libertà male interpretata”.
Infine Benedetto XVI, grazie all’intercessione della Madonna della Fiducia, confida che suo Figlio Gesù sarà affidabile guida per tutti anche in questi “tempi turbolenti”.
Il Santo Padre, inoltre, ringrazia di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo gli “hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto” e soprattutto gli “hanno assicurato la loro preghiera”. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo gli “hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro”.
LA PRIORITÀ SUPREMA: L’AMORE
Ma perché all’interno della Chiesa proprio per molti Vescovi “il gesto discreto di misericordia (…) è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa”. E perché “… anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco” ha ancora affermato il Santo Padre? “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
Il giudizio del Papa è molo severo. Cosa c’è di mezzo? Perché è potuto accadere tutto questo, perché una così grave incomprensione rispetto ad un gesto semplice e chiaro? È come se un gesto di amore, che è “la priorità suprema”, un gesto di misericordia, il segno vivo di questa Misericordia nella presenza del Santo Padre sia stato per alcuni, proprio all’interno della Chiesa, oggetto di incomprensione se non addirittura “scandalo”. Ci viene proprio da pensare alla parabola del figliol prodigo (Lc.15,11), a quel figlio maggiore che di fronte al padre che aveva fatto ammazzare il vitello grasso per la gioia di aver riavuto il figlio minore, “si arrabbiò”! E come quel padre che è pronto a riaccogliere quel figlio che ha sperperato tutti i suoi averi, così il Santo Padre attraverso la remissione della scomunica, (mirata “allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno”) ha scandalizzato proprio il figlio maggiore.
La Misericordia scandalizza. È una parola impossibile all’uomo se non nella continua tensione all’immedesimazione con Colui che ha manifestato questo Amore fino alla morte in croce. Benedetto XVI attraverso questo gesto è stato semplicemente il segno supremo dell’Essere di Dio, del suo essere Misericordia.
“«Signore se consideri le colpe, Signore chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono... »: questo ci fa gridare il salmo 129. In tutta questa persistente azione di dimenticanza, di resistenza e ribellione dentro cui desertifichiamo e insabbiamo la nostra vita, questo Dio insiste a volerci, a chiamarci, ad amarci, a mostrarci il suo Essere: il suo essere Misericordia sempre. Non si allontana da noi ma continua sempre a volerci. Al nostro rifiuto risponde la sua Misericordia. Rimane sempre fedele al suo essere Amore, alla sua Alleanza, alla sua Alleanza a cui sempre ci richiama e dentro cui ci ricostituisce. «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia». (Is 54,10). «Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (Ger 31,3). «Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?... Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (Os 11,8-9). Dentro l’attimo così tanto reattivo e sfuggente, così spesso distratto, dimentico e presuntuoso, così mobilitato ad affermare e a difendere la propria misura e consistenza, Lui continua ad attenderci con quell’Eterno Amore con cui ci ha dato Vita. Continuamente ci chiama a corrispondere al suo Amore misericordioso, unicamente generativo e rigenerativo della vita, sempre”(Nicolino Pompei – Atti del Convegno 2003).
Con chiarezza estrema e lucida razionalità, con umile e altrettanto ferma certezza Benedetto XVI ne ha reso testimonianza e ragione in questa ultima Lettera. Noi vogliamo essere tra quei fedeli che anche attraverso questa circostanza “hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro”.
Grazie, Santo Padre.