I martiri cristiani del 2000: veri testimoni di fede

“Un giudice (...) dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. (...) Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui»”.

02 Febbraio 2013
Una strage che sembra non avere fine quella dei cristiani uccisi nel mondo: nel 2012 le vittime sono stati 105mila, un morto ogni cinque minuti, una mattanza dalle proporzioni spaventose. Le aree calde in tutto il mondo sono sostanzialmente tre, come sottolineato dal coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa in Italia, Massimo Introvigne: i Paesi dove è forte la presenza del fondamentalismo islamico - la Nigeria, la Somalia, il Mali, il Pakistan e alcune regioni dell’Egitto -, i Paesi dove esistono ancora regimi totalitari di stampo comunista -in testa a tutti la Corea del Nord -, e i Paesi dove ci sono nazionalismi etnici, che identificano l’identità nazionale con una particolare religione, così che i cristiani sarebbero dei traditori della Nazione, come nello stato dell’Orissa, in India (“105 mila i cristiani uccisi nel 2012 per la loro fede. Intervista a Introvigne”). Vediamo cosa è successo solo negli ultimi tempi in alcuni di questi Stati. In Pakistan, come tutti sanno, è in vigore la vergognosa legge sulla blasfemia, coperta dall'articolo 295c del codice penale, che contempla l’ergastolo e nei casi estremi la condanna a morte per chi profana il Corano e diffama il profeta Maometto. L'accusatore non ha inoltre l'onere di provare ciò che dice. La legge sulla blasfemia fornisce l’esempio di una legislazione fra le più settarie e fondamentaliste, oltre che essere un modo per procedere verso la radicale islamizzazione del Paese. Una legge che è in sé una bestemmia, visto che semina oppressione e morte in nome di Dio. In questo Paese i cattolici sono meno dell’1% su un totale di oltre 160 milioni di abitanti e la vita per loro non è certo semplice: essi sono quotidianamente vittime di soprusi e violenze di ogni genere, come ci testimoniano questi pochi esempi che di seguito riportiamo. Nel settembre del 2012 il quattordicenne cristiano Waiz Masih viene ucciso da giovani musulmani, dopo una “discussione sulla religione”. Il ragazzo, selvaggiamente picchiato e torturato, è stato poi gettato, incosciente, in un canale. Qualche giorno più tardi, in un quartiere di Karachi, Essa Nagri, dove vivono circa 50.000 cristiani, in condizioni di estrema povertà e nella mancanza di servizi di base, un gruppo di criminali musulmani di etnia pashtun è entrato nel quartiere minacciando i residenti, chiedendo tangenti alle attività commerciali e intimando la riscossione della “Jizya” (la tassa imposta, secondo la sharia, sulle minoranze non musulmane). In una lite seguita a tali atti, gli estremisti hanno ucciso i due uomini cristiani e ne hanno feriti altri due. I fedeli, per proteggersi, hanno deciso di erigere un muro e chiudere un ingresso di Essa Nagri, quello confinante il quartiere musulmano, dove vivono gruppi pashtun e beluchi, da cui provengono gli attacchi. I cristiani, vittime di continue violenze, hanno anche organizzato un servizio di sicurezza interno, per cercare di prevenire le violenze e ulteriori attacchi che stanno martoriando il quartiere. Il 12 ottobre una folla di centinaia di persone assale la chiesa cattolica di San Francesco a Karachi. L’attacco ha causato danni alla parte esterna, ma questa volta il gruppo non è riuscito a varcare la soglia dell'edificio. Due giorni dopo, a Faisalabad alle 11 del mattino, fanatici islamisti prendono di mira la chiesa presbiteriana di Bawa Chak; ad innescare le violenze un diverbio fra due giovani cristiani che, giocando a cricket, hanno colpito accidentalmente con la palla un 26enne musulmano. L'episodio è degenerato, sfociando in un attacco con bastoni, pietre e pistole da parte di una folla contro il luogo di culto e i fedeli, riuniti per partecipare alle funzioni della domenica. Alcuni bambini e donne cristiane hanno riportato ferite nell'assalto; gran parte degli abitanti si è chiusa all'interno delle proprie case per sfuggire alle violenze. Rimane ad oggi ancora aperto il caso di Asia Bibi, la donna cristiana attualmente rinchiusa in carcere perché accusata di blasfemia. Di recente ha scritto una lettera dal buio della sua cella. Le sue parole sono esempio di una fede profonda e sincera, che nemmeno la paura e la morte possono vincere:  “Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui»” (“Scrivo da una cella senza finestre” ). Intanto anche il suo legale e gli attivisti della Masihi Foundation (Mf), che si battono per la sua libertà, sono oggetto di continue minacce di morte. In Nigeria la situazione dei cristiani è sempre più drammatica: gli attacchi alle varie comunità, soprattutto per mano dei fondamentalisti islamici della setta Boko Haram, sono all’ordine del giorno e non si contano ormai più le vittime. Le ultime stragi note all’opinione pubblica risalgono al dicembre del 2012: la notte di Natale nel villaggio di Peri un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella chiesa dove la piccola comunità stava vivendo la S. Messa di mezzanotte e ha attaccato la folla a colpi di mitra, lasciando, oltre a diversi feriti, il sacerdote e cinque fedeli senza vita. Solo poche ore dopo un altro gruppo estremista ha attaccato la First Baptist Church, a Maiduguri, nello Stato di Borno causando la morte di un diacono e di cinque fedeli. Nella notte di venerdì 28 dicembre, quindici cristiani sono stati sgozzati nel sonno nelle loro abitazioni e solo due giorni dopo, a Chibok, i cadaveri abbandonati di quindici persone uccise a colpi d'arma da fuoco ancora durante la  celebrazione della S. Messa sono stati trovati all'interno in una chiesa, evidentemente presa d'assalto da uomini armati. Anche in questo caso però la disperazione non ha il sopravvento. Monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente dell'episcopato nigeriano afferma infatti: “Il 2012 è stato un anno molto difficile per i cristiani in Nigeria, a causa della persecuzione e quindi la sofferenza a causa della fede. Abbiamo avuto attacchi su attacchi nelle chiese. Ma abbiamo speranza: i cristiani qui non rinunciano. Fanno il possibile per poter continuare a praticare la loro fede, vengono a messa e sono pochi quelli che hanno paura. Continuiamo così e speriamo che l'anno nuovo sia diverso: che sia un anno di armonia, di pace per tutti noi, musulmani e cristiani. Vogliamo vivere in pace, sempre”. “Questo – continua – non può far morire la fede, non può ridurre l'amore per la fede cristiana. Questo non ci trattiene dal praticare la fede: infatti, andiamo avanti, bambini, uomini e donne. Sempre siamo pronti ad andare avanti. Per questo, siamo sicuri che saremo vincitori”. “E speriamo di vincere con l'amore e con la fortezza della nostra fede, su queste persone diaboliche". Anche in India i cristiani vivono in una situazione di costante pericolo. Sono ormai da quattro anni in carcere i sette cristiani innocenti, accusati nel 2008 dell'omicidio del leader indù Laxamananda Saraswati, la cui morte scatenò violente proteste nell'Orissa. I maoisti hanno ammesso la responsabilità nell'assassinio, ma nonostante questo i sette uomini cristiani languono nelle carceri del Kandhamal, vittime di processi-farsa e udienze rinviate di mese in mese: ogni volta, gli accusati giungono in aula, il giudice non si presenta e loro sono costretti a tornare in carcere. Il 15 giugno scorso un gruppo di nazionalisti indù ha aggredito e ferito in modo grave il rev. pentacostale  Baidhar, 50 anni, mentre tornava a casa nel villaggio di Mitrapur, dopo un servizio di preghiera. Gli aggressori lo hanno lasciato sanguinante a terra, ancora vivo. Quando gli indù hanno scoperto che il rev. Baidhar si era salvato, cinquanta di loro hanno attaccato dodici famiglie cristiane, ferendo venti persone, giovani e anziani, e tentando di violentare alcune ragazze. Non contenti, hanno poi saccheggiato le loro case. Qualche giorno prima, nel distretto di Puri (Orissa), la polizia locale di Brahmagiri aveva sequestrato più di 50 bombe artigianali e 12 cariche di dinamite, nascoste in una baracca del villaggio di Gambhari. Secondo le forze dell'ordine, gli esplosivi ritrovati sarebbero serviti per organizzare un nuovo pogrom anticristiano a breve, simile agli attacchi del Kandhamal nel 2008. Sempre a giugno, e sempre nello stato dell’Orissa, venti cristiani sono stati arrestati, colpevoli di aver celebrato un battesimo. Ancora una volta però la morte e le violenze non vincono la fede e l’amore di Dio. Colpisce infatti sapere che in questa terra così martoriata continuano ad operare senza sosta le suore di Madre Teresa, che accolgono presso le loro strutture tutti coloro che ne hanno bisogno, senza alcuna distinzione di razza o religione: nei loro centri di accoglienza non è difficile vedere una missionaria della carità estrarre vermi da un corpo di un paziente trattato con tenerezza e amore. La Nimral Hriday, la Casa del cuore puro, aperta sessant’anni fa dalla stessa madre Teresa, ha, ad esempio, accolto, curato e amato più di 87mila malati e moribondi. “Nella Casa – afferma  suor Glenda, superiora del Nirmal Hriday di Calcutta – abbiamo portato la pace e l'amore di Cristo a chi non era amato, a chi era stato abbandonato, trattando i nostri ospiti con dignità fino agli ultimi istanti della loro vita”. Lieta per l’anno della fede, così continua: “Noi serviamo i più poveri tra i poveri. La nostra vocazione non è lavorare, ma appartenere a Cristo: è in questo modo che portiamo avanti la nostra missione, per portare le anime a Dio e Dio alle anime”. Come ogni anno l’agenzia Fides ha pubblicato l’elenco degli operatori pastorali che hanno perso la vita in modo brutale nel 2012. Dalle informazioni raccolte, nell’anno 2012 sono stati uccisi 12 operatori pastorali: si tratta infatti di 10 sacerdoti, 1 religiosa, 1 laica ("Gli operatori pastorali uccisi nel 2012"). Trovarsi di fronte a questo documento o leggere delle centinaia di vittime cristiane che ogni giorno perdono la loro vita a causa delle fede, scomoda tanto e ci aiuta a porci alcune domande: innanzitutto perché chi ha potere per fermare questa strage fa poco e niente? Non si può infatti negare che allo stato attuale né l’Europa né il resto del mondo avanza proposte per fermare questo silenzioso bagno di sangue che continua inesorabilmente a scorrere. Ma soprattutto cosa hanno a che fare con noi, che di certo non siamo minacciati di morte, queste persone così fisicamente lontane che perdono la loro vita perché fedeli a Cristo? Le vittime cristiane ci richiamano ad una fede semplice ma radicata, professata con orgoglio, e indicano la strada da seguire anche a chi come noi non è quotidianamente in una situazione di pericolo per via della religione, ma che forse vive il proprio essere cristiani scontatamente, dimentichi del grande dono della fede e della gioia, della pienezza che Gesù è per la nostra vita. Così scrive il Santo Padre Benedetto XVI nel Motu Proprio “Porta fidei”, con cui ha indetto l’Anno della fede che la Chiesa sta celebrando: “Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti. Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita, hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.” (PF, 13). Questi veri testimoni della fede ci invitano dunque a guardare Chi è il valore, il significato, l’essenza della nostra vita, il Tutto senza il quale la vita non è: Gesù Cristo! Molti di coloro che si trovano minacciati avrebbero salva la loro vita con un gesto semplice, come quello chiesto ad Asia Bibi: la sottomissione ad un’altra religione. Eppure no, Gesù è la Vita e rinnegarLo significherebbe morire, significherebbe allontanarsi dalla propria natura. Tornano in mente le parole pronunciate da Santa Perpetua, quando il padre voleva convincerla ad apostatare, moltissimi secoli fa, ma che sembrano ad oggi magnificamente moderne: “Padre vedi, ad esempio, questo vaso o quell'orciolo? Puoi tu forse chiamarli con un altro nome diverso da quello che essi sono? Così non posso io essere chiamata con un nome diverso da ciò che sono: cristiana”. Preghiamo per e con questi moderni testimoni della fede perché la nostra amata Santa Madre Chiesa sia resa più forte dal sangue da loro versato e affinché l’odio e la violenza continuino a non avere mai l’ultima parola!
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