"Luce del mondo" è il nuovo bellissimo libro che raccoglie sei ore di conversazione di Benedetto XVI con il giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald, in cui il Santo Padre non si tira indietro e risponde alle domande sui grandi e spinosi temi della realtà contemporanea, dalla contraccezione all’omosessualità, dalla pedofilia alla figura della donna all’interno della Chiesa.
Ma il testo non è solo questo. Le 253 pagine sono ricche di spunti per la riflessione e servono ad abbattere – come il giornalista stesso ha affermato – il muro sempre più impenetrabile innalzato dai mass media attorno a Benedetto XVI. Un muro sul quale è proiettata l’immagine virtuale di Joseph Ratzinger, mentre resta nascosta la verità sulla sua vita, la persona, il pensiero. Il cuore.
Sì, perché è proprio questo che il libro tira fuori: il lato umano del Santo Padre, come persona vera, servitore e pastore instancabile del popolo di Dio, che racconta di sé e della sua quotidianità, come uomo pienamente consapevole del delicatissimo periodo che la Chiesa sta vivendo, del dramma della società odierna e del suo relativismo, ma altrettanto convinto che una società non può andare lontano da Dio.
Di fronte a questo scritto si rimane meravigliati della lucidità, dalla razionalità, della semplicità e dalla consapevolezza del Santo Padre.
Il libro non è una disputa ideologica, ma una discussione aperta sulla Chiesa, sui problemi della società moderna, un invito a riflettere sulla nostra vita e sul nostro modo di vivere. E il Papa non appare come un mistico, un conservatore lontano dal mondo, ma un uomo, un vero uomo immerso nella realtà.
Così conclude Seewald nella premessa del libro: “A volte guarda in modo un po’ scettico. Così da sopra gli occhiali. E quando lo si ascolta, sedendogli a fianco, si percepisce non solo la precisione del suo pensare e la speranza che zampilla dalla fede; ma diviene visibile in modo particolare quel brillare della luce del mondo, lo sguardo di Cristo, che desidera incontrare ogni uomo e che non esclude nessuno”.
Gli argomenti trattati nel libro sono molti e molto attuali. In questo contesto ci interessa soffermarci particolarmente su alcune questioni più recenti, certamente importanti, ma che allo stesso tempo sono state evidentemente e pretestuosamente manipolate a livello di opinione pubblica o, peggio ancora, di mass media proprio per gettare ombre o addirittura fango sulla persona del Santo Padre e sulla Chiesa intera.
Dalla prima parte del libro
I segni dei tempi e particolarmente lo scandalo degli abusi
Nella prima parte del libro il Papa ripercorre innanzitutto la sua elezione al soglio pontificio, quando nella cosiddetta “camera delle lacrime”, al momento della vestizione, non poteva fare altro che ripetere: “Signore, cosa mi stai facendo? Ora la responsabilità è tua. Tu mi devi condurre! Io non ne sono capace. Se tu mi hai voluto ora devi anche aiutarmi”.
E sull’essere Papa è chiaro: “Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso”.
Benedetto XVI non tace nemmeno la gioia dell’essere cristiano e infatti afferma: “Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti”.
Egli poi si sofferma anche sulla sua vita privata: guarda la televisione, ama i film di Don Camillo e Peppone, vive la S.Messa e i pasti quotidiani con la famiglia pontificia, indossa sempre la sottana.
La gravissima questione degli abusi sessuali commessi da alcuni sacerdoti nel libro è affrontata immediatamente al secondo capitolo.
Certamente nella giungla di accuse vere e mistificazioni date in pasto alla stampa in questi ultimi mesi in merito a questa questione, tra fatti tragici e realmente accaduti e situazioni costruite ad hoc per attaccare la Chiesa e il Papa, solo l'onestà intellettuale e la caparbietà di alcuni storici e giornalisti ci ha consentito di comprendere la reale portata di questo “scandalo”. E il Santo Padre, sin da subito, utilizzando di diverse occasioni pubbliche e poi particolarmente attraverso una Lettera indirizzata ai cattolici d'Irlanda, si è rivolto alle vittime degli abusi, agli ecclesiastici coinvolti, ai giovani irlandesi, alla Chiesa ferita e comunque a tutti gli uomini, condividendo, come solo un padre può fare, il dolore, lo sgomento e il senso di tradimento che molti hanno sperimentato di fronte a “questi atti peccaminosi e criminali” e al modo in cui le autorità della Chiesa particolarmente in Irlanda li hanno affrontati.
Ha esortato tutti, come popolo di Dio in Irlanda, “a riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi, a volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle, e sul bisogno di unità, di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale”.
Con particolare affetto e cura si è rivolto ai giovani d’Irlanda scrivendo: “Siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa, particolarmente di coloro che furono scelti in modo speciale per guidare e servire i giovani. Ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr Eb 13, 8). Egli vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Cercate un rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa, perché lui non tradirà mai la vostra fiducia! Lui solo può soddisfare le vostre attese più profonde e dare alle vostre vite il loro significato più pieno indirizzandole al servizio degli altri. Tenete gli occhi fissi su Gesù e sulla sua bontà e proteggete nel vostro cuore la fiamma della fede”(vedi Parsifal: è nella Chiesa che troverete Cristo Gesù.
Nel libro ci colpisce anche particolarmente la chiarezza, la drammaticità ma allo stesso tempo la semplicità con cui il Papa continua a parlare di questa tremenda questione, attraverso un ragionamento e un linguaggio realmente accessibile a tutti o almeno a tutti quelli che vogliono realmente capire. All'affermazione limpida del giornalista sul fatto che non soltanto l'abuso in sé è stato sconvolgente ma anche il modo in cui è stato gestito e il fatto che certi episodi sono stati coperti per decenni, altrettanto limpidamente il Santo Padre risponde che il problema si è venuto a creare nella metà degli anni Settanta, quando non è stato più applicato il Diritto penale canonico, perché è cominciata a dominare la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa del diritto, ma una Chiesa dell'amore; che non dovesse punire. “Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d'amore”. Aggiunge quindi il Papa: “Oggi dobbiamo imparare nuovamente che l'amore per il peccatore e l'amore per la vittima stanno nel giusto equilibrio per il fatto che io punisco il peccatore nella forma possibile ed appropriata. In questo senso nel passato c'è stata un'alterazione della coscienza per cui è subentrato un oscuramento del diritto e della necessità della pena. Ed in fin dei conti anche un restringimento del concetto di amore, che non è soltanto gentilezza e cortesia, ma che è amore nella verità. E della verità fa parte anche il fatto che devo punire chi ha peccato contro il vero amore”.
Di fronte all'incalzare del giornalista, che forse vorrebbe strappare una parola di disprezzo al Santo Padre nei confronti dei mass media e della loro faziosità e aggressività di tipo ideologico, il Papa risponde pacatamente e con molta umiltà.
Come già dimostrato in altre occasioni, non fa neanche minimamente balenare l’idea di una Chiesa sotto assedio a causa di complotti, non si difende trincerandosi dietro le statistiche o dietro i numeri effettivi e non inventati, non rilancia responsabilità verso altre istituzioni o confessioni religiose, anzi afferma con lucida serenità: “Era evidente che l'azione dei mass media non fosse guidata solamente dalla pura ricerca della verità, ma che vi fosse anche un compiacimento nel mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, screditarla. E tuttavia era necessario che fosse chiaro questo: sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere riconoscenti. La verità, unità all'amore inteso correttamente, è il valore numero uno. E poi i media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei”.
Ci sembra di trovarci nel Getsemani quando noi come uno dei Dodici, forse Pietro, vorremmo prendere la spada e tagliare l'orecchio al soldato romano venuto a prendere Gesù, “ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì” (cfr Luca 22, 51-52).
Dunque di fronte a tutto quello che è accaduto ed è emerso in tal senso in questi mesi, “che conseguenze ha tratto il Vaticano?” chiede Peter Seewald al Santo Padre.
Benedetto XVI spiega che le disposizioni su come trattare questi casi impartite quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede furono già rese più severe nel 2003 e sono state ulteriormente aggiornate di recente. E aggiunge: “Il Diritto penale in questo caso da solo non basta. Perché una cosa è affrontare questi casi in maniera giuridicamente corretta, altra cosa è fare in modo che possibilmente non accadano più. A questo scopo abbiamo predisposto una grande visita apostolica dei seminari in America. Qui evidentemente vi sono state anche omissioni, per cui i giovani non sono stati seguiti con sufficiente attenzione, giovani che sembravano avere un talento per le attività giovanili e anche una disposizione religiosa, ma nei quali si sarebbe dovuto riconoscere che non erano adatti al sacerdozio. La prevenzione dunque è un aspetto importante. A questo si aggiunge la necessità di un'educazione positiva alla vera castità e al modo giusto di rapportarsi alla sessualità propria e a quella dell'altro. Anche in ambito teologico c'è molto da sviluppare, e per questo creare anche la giusta atmosfera. E poi, rispetto alle vocazioni, è chiaro che l'intera comunità dovrebbe partecipare alla riflessione e all'azione ed avere particolare attenzione per le singole persone. Da un lato guidando e sostenendo quelle persone, dall'altro aiutando anche i superiori a riconoscere se sono idonee o meno. Deve essere quindi adottato un insieme di misure, preventive da un lato e reattive dall'altro, essere positivamente impegnati nella creazione di un'atmosfera in cui queste cose possono eliminate, superate e possibilmente escluse”.
Nei capitoli seguenti il Papa affronta anche la questione del progresso, chiedendosi cosa esso sia: “Oggi vediamo che il progresso può essere anche distruttivo. Per questo dobbiamo riflettere sui criteri da adottare affinché il progresso sia veramente progresso”, e quello della distruzione ambientale.
Poi si sofferma sulla crescente “dittatura del relativismo” della società odierna, per la quale la verità non esiste più e in cui stanno crescendo nuove forme di persecuzione proprio contro la Chiesa Cattolica. La quale però, afferma con chiara certezza Benedetto XVI, non si lascia sopraffare e ne è testimonianza il fatto che il Cristianesimo stia sviluppando una creatività del tutto nuova, con un fiorire di nuove iniziative, forse anche poco evidenti, ma molto attive in tutto il mondo.
La prima parte del testo termina con un’esortazione a tutti gli uomini: questo è tempo di conversione, “è ora di rimettere Dio al primo posto, allora tutto cambierà”.
Dala seconda parte del libro
Il Pontificato e particolarmente le considerazioni sull'uso del profilattico
Benedetto XVI torna poi sul suo essere pontefice e sulla Chiesa: “Non siamo un centro di produzione, non siamo un’impresa finalizzata al profitto, siamo Chiesa. Siamo una comunità di persone che vive nella fede. Il nostro compito non è creare un prodotto o avere successo nelle vendite. Il nostro compito è vivere esemplarmente la fede, annunciarla; e mantenere in un profondo rapporto con Cristo e così con Dio stesso non un gruppo d'interesse, ma una comunità di uomini liberi che gratuitamente dà, e che attraversa nazioni e culture, il tempo e lo spazio”.
Egli si sofferma lungamente sul rapporto tre fede e ragione, sull’ebraismo, sul necessario dialogo interreligioso con gli Ortodossi e i Protestanti, sull’unità di tutti i cristiani e sui rapporti con l’Islam,
Altro tema scottante è quello della sessualità e in particolare l'uso del profilattico nell'ambito del contagio dell'HIV, che è sicuramente quello che ha fatto più parlare anche di recente, ancora una volta per l'ennesima interpretazione che i mass media hanno lasciato intendere in merito all'argomento.
Intorno alla metà del mese di dicembre molte interpretazioni hanno infatti presentato le parole del Papa rispetto all'utilizzo del preservativo come affermazioni in contraddizione con la tradizione morale della Chiesa, ipotesi che taluni hanno salutato come una positiva svolta e altri hanno appreso con preoccupazione, come se si trattasse di una rottura con la dottrina sulla contraccezione e con l’atteggiamento ecclesiale nella lotta contro l’Aids. In realtà, le parole del Papa, che accennano in particolare ad un comportamento gravemente disordinato quale è la prostituzione, non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa.
Infatti è stata addirittura necessaria la pubblicazione di una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (Nota sulla banalizzazione della sessualità a proposito di alcune letture di “Luce del mondo”) pubblicata lo scorso 21 dicembre per portare un immediato chiarimento e per mettere a tacere una serie di infelici considerazioni.
Eppure sarebbe bastato veramente poco, cioè la lealtà e l'umiltà per molti di prendere il libro e aprirlo alle pagg. 169, 170 e 171, per capire davvero la questione.
La domanda del giornalista si riferisce ad un episodio simile accaduto nel 2009 durante il viaggio del Santo Padre in Africa. Il giornalista chiede: “La sua visita in Africa nel marzo del 2009 ha richiamato l'attenzione dei media sulla politica del Vaticano nei confronti dell'Aids. Il 25% dei malati di Aids in tutto il mondo oggi viene seguito da strutture cattoliche. In alcuni Paesi, come per esempio nel Lesotho, i malati di Aids rappresentano più del 40% della popolazione. In Africa, Lei ha dichiarato che la dottrina tradizionale della Chiesa si è rivelata l'unico modo sicuro per arrestare la diffussione dell'HIV. I critici, anche all'interno della Chiesa, sostengono il contrario, che è una follia vietare ad una popolazione minacciata dall'AIDS l'utilizzo di profilattici”.
Il Santo Padre inizia rispondendo: “Dal punto di vista giornalistico il viaggio in Africa è stato del tutto oscurato da un'unica mia frase. Mi è stato chiesto perché la Chiesa Cattolica, relativamente all'AIDS, assumesse una posizione irrealista ed inefficace. Così mi sono sentito veramente sfidato, perché la Chiesa fa più di tutti gli altri. E continuo a sostenerlo perché a Chiesa è l'unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente: nel prevenire, nell'educare, nel consigliare e nello stare a fianco; e perché come nessun altro si cura di tanti malati di AIDS e, in particolare, di tantissimi bambini colpiti da questa malattia. Ho potuto visitare una di queste strutture per i malati di AIDS e ho potuto parlare con loro. La risposta è stata sostanzialmente questa: la Chiesa fa più degli altri perché non parla solo dal pulpito dei giornali, ma aiuta i fratelli e le sorelle sul posto. In tale contesto non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale, ma ho soltanto detto quello che poi ha suscitato tanto risentimento: che non si può risolvere il problema con la distribuzione dei profilattici. Bisogna fare molto di più. Dobbiamo stare vicino alle persone, guidarle, aiutarle,e questo anche prima che si ammalino. E' un dato di fatto che i profilattici sono a disposizione ovunque, chi li vuole li trova subito. Ma solo questo non risolve la questione. Bisogna fare di più. Nel frattempo, proprio in ambito secolare si è sviluppata la cosiddetta teoria ABC, sigla che sta per “Abstinence - Be Faithful - Condom” (Astinenza- Fedeltà - Profilattico): laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa origine per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità”.
Abbiamo riportato questo lungo tratto che si conclude proprio con l'affermazione che è stata malamente manomessa proprio perché è necessario comprendere a che tipo di domanda sta rispondendo il Santo Padre, e cioè alla questione dell'Aids in un Paese così colpito come l'Africa. E allo stesso tempo saltare queste considerazioni e attaccarsi all'ultima affermazione del Papa significa evidentemente di per sé ridurre il suo pensiero e la sua risposta. Continua infatti Benedetto XVI: “Vi possono essere singoli casi motivati, ad esempio quando uno che si prostituisce utilizza un profilattico, e questo può essere un primo passo verso una moralizzazione, un primo elemento di responsabilità per sviluppare di nuovo una consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può fare tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male dell'HIV. Esso, in realtà, deve consistere nell'umanizzazione della sessualità”.
Ci chiediamo cosa ci sia di così difficile da capire e da trarre da queste parole!
Eppure per chiarezza insiste il giornalista: “Questo significa, dunque, che la Chiesa Cattolica non è fondamentalmente contraria all'uso dei profilattici?”. Definitivamente conclude il Papa: “La Chiesa, naturalmente, non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale. In un caso o nell'altro, nell'intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana”.
Se qualcuno potesse essere rimasto comunque perplesso di fronte a queste parole, quella che è stata la Nota sopra citata della Congregazione per la Dottrina della Fede non può lasciare realmente alcun dubbio: il Papa non sta parlando della morale coniugale e nemmeno della norma morale sulla contraccezione, bensì del caso particolare della prostituzione, problema reso ancora più drammatico per la diffusone dell'Aids, appunto. “Chi sa di essere infetto dall’Hiv e quindi di poter trasmettere l’infezione, oltre al peccato grave contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché consapevolmente mette a serio rischio la vita di un’altra persona, con ripercussioni anche sulla salute pubblica” chiarisce la Nota. E conclude: “Alcuni hanno interpretato le parole di Benedetto XVI ricorrendo alla teoria del cosiddetto “male minore”. Questa teoria, tuttavia, è suscettibile di interpretazioni fuorvianti di matrice proporzionalista (cfr. Giovanni Paolo II, enciclica Veritatis splendor, nn. 75-77). Un’azione che è un male per il suo oggetto, anche se un male minore, non può essere lecitamente voluta. Il Santo Padre non ha detto che la prostituzione col ricorso al profilattico possa essere lecitamente scelta come male minore, come qualcuno ha sostenuto. La Chiesa insegna che la prostituzione è immorale e deve essere combattuta. Se qualcuno, ciononostante, praticando la prostituzione e inoltre essendo infetto dall’Hiv, si adopera per diminuire il pericolo di contagio anche mediante il ricorso al profilattico, ciò può costituire un primo passo nel rispetto della vita degli altri, anche se la malizia della prostituzione rimane in tutta la sua gravità. Tali valutazioni sono in linea con quanto la tradizione teologico-morale della Chiesa ha sostenuto anche in passato”.
La terza parte del libro
Verso dove andiamo?
La terza e ultima parte del libro prende il via con una domanda sul contributo della Chiesa per la crescita sulla civiltà e sul disprezzo che oggi in molti provano nei suoi confronti. Il Santo Padre afferma che il vero problema della nostra società è che si crede di poter rendere superflua “l’ipotesi di Dio”: oggi l’uomo crede di potere tutto da solo! È dunque necessaria una “nuova evangelizzazione”, perché la sola scienza non “riempie la nostra vita”.
Il Santo Padre risponde più avanti a domande sul ruolo della donna all’interno della Chiesa. Anche questa volta è chiaro e razionale: “La Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale. Non si tratta di non volere ma di non potere. Il Signore ha dato una forma alla Chiesa con i Dodici e poi con la loro successione, con i vescovi ed i presbiteri (i sacerdoti). Non siamo stati noi a creare questa forma della Chiesa, bensì è costitutiva a partire da Lui. Seguirla è un atto di obbedienza, nella situazione odierna forse uno degli atti di obbedienza più gravosi. Ma proprio questo è importante, che la Chiesa mostri di non essere un regime dell'arbitrio. Non possiamo fare quello che vogliamo. C'è invece una volontà del Signore per noi, alla quale ci atteniamo, anche se questo è faticoso e difficile nella cultura e nella civiltà di oggi. Tra l'altro, le funzioni affidate alle donne nella Chiesa sono talmente grandi e significative che non può parlarsi di discriminazione. Sarebbe così se il sacerdozio fosse una specie di dominio, mentre al contrario deve essere completamente servizio. Se si dà uno sguardo alla storia della Chiesa, allora ci si accorge che il significato delle donne — da Maria a Monica sino a Madre Teresa — è talmente eminente che per molti versi le donne definiscono il volto della Chiesa più degli uomini”.
Poi ancora la questione del celibato, dei cattolici divorziati, dell'omosessualità, della contraccezione e della pillola abortiva: temi e problemi intensi e drammatici, affrontati con la lucidità, la sapienza, la profondità e la semplicità che rendono le risposte del Santo Padre accessibili e comprensibili proprio a tutti.
E per concludere gli ultimi due capitoli, “Gesù Cristo ritorna” e “Delle cose ultime”, coronano questo meraviglioso dono che il Papa ci ha concesso. Così egli chiude: “…[Gesù] è venuto perché possiamo conoscere la verità. Perché possiamo toccare Dio. Perché la porta sia aperta. Perché troviamo la vita, la vita vera, che non è più sottomessa alla morte”.
Una volta conclusa la lettura del libro la sensazione è quella che si tratta davvero di un testo rivolto a tutti, cattolici e non. Il suo linguaggio è semplice, chiaro, ma contemporaneamente profondo e razionale ed esprime la fede radicata che sorregge il Papa e gli da la forza di non spaventarsi di fronte alla gravità dei problemi che assillano la Chiesa e il mondo.
Attraversando il libro ci si ritrova quindi pienamente nelle parole affermate proprio dal giornalista che lo ha curato, Seewald: “Ratzinger ha il dono straordinario di spiegare con semplicità cose complicatissime. È uomo poetico e musicale, ha il senso dell’armonia. Ed è una persona umile, mai piena di sé; piena d’amore, sempre. Di fronte alle mie domande non l’ho mai visto in difficoltà. Lui vuole vedere le cose, ogni cosa, con gli occhi di Dio, il Dio dell’amore, non per escludere ma per integrare. E questo ti lascia a bocca aperta. Joseph Ratzinger non è un tradizionalista o un fondamentalista, non è un nemico della modernità. Al contrario, ci invita e ci aiuta a cogliere il positivo della modernità. Ma se c’è qualcosa che mi ha colpito, è anche la capacità di questa Chiesa cattolica di non piegarsi allo spirito del tempo”.
Grazie Santo Padre.