Sentite che provocazione e che pace per il cuore riceviamo dalla condivisione di uno dei primi santi della Chiesa, sacerdote e dottore della Chiesa, il grande san Girolamo. Dopo la sua conversione, vivrà per ben 35 anni dentro una spelonca, accanto alla grotta della Natività, pregando, studiando, traducendo in latino la Bibbia, la famosa Vulgata. È lui stesso a raccontare che, in una notte di Natale, gli appare Gesù bambino chiedendogli: “Non hai niente da darmi nel giorno della mia nascita?”. E lui, preso da un’immensa trepidazione e commozione,gli risponde: “Ti do il mio cuore”. “Va bene - gli dice Gesù bambino - ma desidero ancora qualche altra cosa”. Allora Girolamo gli replica: “Ti do le mie preghiere”. “Va bene - risponde ancora Gesù - ma io voglio qualcosa di più”. Di fronte all’insistenza di Gesù,san Girolamo si arrende e addolorato gli dice: “Non ho più niente, che vuoi che ti dia?”. Cosa ci può essere di più grande per un uomo che dare il suo cuore, la sua vita, tutta la sua preghiera a Gesù!? E Gesù così gli risponde: “Dammi i tuoi peccati, dammi i tuoi peccati, o Girolamo, perché io possa avere la gioia di perdonarli ancora!”. È proprio tutta un’altra misura, una totalmente altra misura quella di Cristo, quella della sua iniziativa su di noi, quella del suo amore, della sua grazia, dell’opera della sua grazia sulla vita di ciascun uomo. “Dammi i tuoi peccati perché io possa avere la gioia di perdonarli ancora”.
Un’ulteriore e struggente conferma ci viene da santa Faustina, che riporta nel suo diario ciò che Gesù le dice in una delle sue apparizioni: “Dammi i tuoi peccati perché io possa bruciarli nel fuoco del mio amore, avere la gioia di perdonarli e di stringerti al mio cuore”. È semplicemente l’amore inaudito di Dio, è la massima manifestazione dell’essere di Dio come misericordia. Ed è tutto quello per cui il Signore Gesù viene tra gli uomini, muore e risorge. È tutta la sua continua iniziativa di amore su di noi, che ha solo e semplicemente bisogno di incontrare ora la nostra miseria.
Così la Santa Chiesa prega attraverso un prefazio della sua Liturgia: “… Nella sua vita mortale egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancora oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Per questo dono della sua grazia, anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del tuo figlio crocifisso e risorto”. Anche nella Liturgia Ambrosiana vi è un bellissimo prefazio che recita: “Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato in virtù del tuo invincibile amore è servito a elevarci alla vita divina”.
È proprio una confortante e stupefacente conferma di ciò che vi ho detto all’inizio, anche attraverso le parole di Papa Francesco. È l’ulteriore e sorprendente conferma di ciò che nella notte di Pasqua ascoltiamo nel canto dell’Exultet: “Felix culpa… / felice colpa che ci meritò un così grande redentore…”. È tutto quello che siamo continuamente chiamati ad incontrare in noi stessi come esperienza e a testimoniare ad ogni uomo. Siamo chiamati a mostrare nell’esperienza del nostro umano beneficato e sanato l’avvenimento di un Medico più forte delle nostre piaghe, di una Misericordia più grande della nostra colpa. A mostrare nell’esperienza del nostro umano beneficato e sanato che, anche se una vita fosse sprofondata nella notte più buia e nel dolore più sfibrante, nell’avvenimento di Cristo risorto e nell’opera permanente della sua grazia può essere risollevata, rinfrancata e rigenerata. Siamo chiamati a stare al mondo per mostrare, con tutto il nostro umano perdonato e redento, la presenza di un Amore infinitamente più grande, di una Misericordia sempre più grande delle nostre colpe, della nostra miseria mortale. Che si serve perfino del peccato per mostrare il suo essere solo Misericordia, il suo essere Amore e basta, il suo essere indomabile e invincibile Amore, che vince tutto quello che ci vince e che addirittura ci innalza al livello della Vita divina. Ascoltiamo cosa scrive sant’Ambrogio in alcune sue opere. “Il Signore Dio nostro creò il cielo e non leggo che si sia riposato; creò la terra e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo nemmeno allora che si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si sia riposato, avendo un essere a cui rimettere i peccati”. È veramente stupefacente ciò che afferma sant’Ambrogio, perché ci dice che ognuno di noi è creato da Dio fin dal principio come “essere perdonabile”, come un essere “da perdonare”. Nel suo infinito e misterioso disegno sembra che l’attributo più qualificante che Dio voglia rivelare e mostrare di sé sia il suo essere Misericordia e basta, il suo essere Amore che ama e perdona solo e sempre. Una qualificazione che si rivela e si mostra nella sua pienezza nella presenza di Cristo crocifisso e risorto. Il “motivo” per cui Dio crea è perché ogni uomo incontri e sperimenti nella presenza di Cristo morto e risorto il suo essere Misericordia e basta. Sant’Ambrogio arriverà a dire: “Beata la caduta che da Cristo viene in meglio riparata”. Ancora una volta riecheggiano le parole dell’Exultet pasquale: “Felice colpa che meritò di avere un così grande redentore! Quale vantaggio per noi essere nati se Cristo non ci avesse redenti…”. Ascoltiamo sant’Ambrogio cosa dice parlando di sé: “Non mi glorierò perché sono giusto, ma mi glorierò perché sono redento. Mi glorierò non perché sono vuoto di peccati ma perché i peccati mi sono rimessi. È più proficua la colpa dell’innocenza. L’innocenza mi aveva reso arrogante, la colpa mi ha reso umile”. Sono parole davvero sorprendenti e disarmanti, che danno conforto e pace al cuore e distruggono tutta una riduzione moralistica e rigorista della fede, delle virtù cristiane e della morale. Scrive ancora Ambrogio: “Anch’io ero piagato dalle passioni: ho trovato un medico che abita in cielo ed effonde la sua medicina sulla terra: egli solo può risanare le mie ferite, perché non ne ha di proprie. Egli solo può cancellare il dolore del cuore, il pallore dell’anima, poiché conosce i mali nascosti”. Per questo ci esorta a scoprire senza timore e reticenza le nostre ferite, il nostro umano ferito e debilitato dalla miseria e dal peccato: “Scopri al medico la tua ferita per poter guarire. Anche se non la mostri egli la conosce e tuttavia attende di sentire la sua voce”. Ecco l’unica condizione imprescindibile: mostrare la nostra ferita mortale perché Egli la possa guarire. Imprescindibile, non perché sia questa a porre e attivare la sua Misericordia, ma solo perché il suo Amore non è un Amore coercitivo, un Amore che vuole assoggettarci, ma un Amore assolutamente libero, gratuito e incondizionato: è Amore e basta. È un Amore che vuole solo e sempre attirarci al suo Amore liberamente e consapevolmente. Per questo non può che attendere - addirittura mendicare - l’apertura del cuore e il cedimento dell’umano, perché possa mostrarsi come l’unico “capace” di risanare l’umano ferito, malato e corrotto; l’unico “capace” di rianimare e rigenerare la vita. Afferma sant’Agostino: “Dio che ti ha fatto (creato) senza di te, non può salvarti senza di te”.
Anche sant’Ambrogio mostra la sua ammirata considerazione per la figura del malfattore crocifisso accanto Gesù. Afferma in un inno pasquale: “Agli smarriti Dio ridonò la fede; ridiede luce, con la vista, ai ciechi. Chi sarà ancora oppresso da timore dopo il perdono del ladro? Questi mutò la sua croce in un premio, Gesù acquistando con rapida fede (con la fede di un istante); così giustificato, arrivò primo nel regno di Dio. Persino gli angeli se ne stupiscono, contemplando lo strazio delle membra, e, tutto stringendosi a Cristo, il reo carpire la vita beata”. “Gesù acquistando con rapida fede”: vedete anche sant’Ambrogio parla della fede di un istante, una “rapida” fede, per ritrovarsi afferrati e stretti da Gesù, per guadagnare Gesù e lasciar guadagnare la nostra vita da Gesù. Continua sant’Ambrogio: “Che c’è di più sublime? Cerca la grazia la colpa, e dall’amore vinta la paura, la morte ci ridona a vita nuova”. Il cuore di questo inno pasquale è tutta una lode all’onnipotenza di Dio che supremamente si mostra nel suo essere solo Misericordia. Recita la colletta di una Domenica del Tempo Ordinario: “O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono continua ad effondere su di noi la tua grazia”.
Considerando la suggestiva derivazione etimologica della parola misericordia, possiamo vedere che essa è formata da due parole: “miseria-ae” e “cor-cordis”, miseria e cuore/amore, quindi amore alla mia miseria, che è possibile solo a Dio, può venire solo da Dio. Ma c’è anche un richiamo che possiamo ricevere: se togliamo la miseria, la nostra miseria, come potremo incontrare e sperimentare questo amore che è solo e sempre misericordia? L’onnipotenza di Dio che è solo misericordia non si mostra e non agisce se non attraverso la nostra debolezza, la nostra miseria. Dio non ha bisogno delle mie virtù, delle mie buone opere, dei miei comportamenti moralmente ineccepibili, ma ha bisogno del mio nulla, della mia miseria, della mia povertà perché possa manifestare la sua vera onnipotenza: quella della sua misericordia, del suo essere solo misericordia. Ancora una voltail supremo e sorprendente paradosso dell’amore di Dio che trova il suo vertice - ancor più paradossale - e la sua massima manifestazione nella passione, crocifissione e morte di Gesù. Ascoltiamo cosa ci dice Papa Benedetto XVI: “… Dio ama la sua creatura, l’uomo; lo ama anche nella sua caduta e non lo abbandona a se stesso. Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all’estremo: scende giù dalla sua gloria divina. Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell’estrema bassezza della nostra caduta. Si inginocchia davanti a noi e ci rende il servizio dello schiavo; lava i nostri piedi sporchi, affinché noi diventiamo ammissibili alla mensa di Dio, affinché diventiamo degni di prendere posto alla sua tavola…”. “Signore, io non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato”. Vi riporto una sconcertante affermazione di san Bonaventura, che non può non scuoterci profondamente. Egli dice: “Mio Signore come ha potuto venirti in mente di entrare nella sporca latrina del mio corpo?”. “Per Amore, solo per Amore…”, titolavamo un nostro volantino di Pasqua di qualche anno fa. Qual è il nostro merito per un Amore così infinito e inaudito? Quali meriti possiamo avanzare? “Il mio merito è solo la sua Misericordia”, l’avvenimento assolutamente gratuito e incondizionato della misericordia di Dio che nella presenza di Cristo morto e risorto permanentemente attende solo la nostra miseria per dare “sfogo” al suo Amore. Attende mendicando la nostra apertura per accalorare e corrispondere al nostro cuore con il suo Amore; il nostro cedimento per sollevarci al suo Amore e alla sua Vita divina. È tutto “Quello” che siamo permanentemente chiamati a sperimentare e a mostrare nel nostro umano e con tutta la nostra vita perché, come dice un’orazione della Veglia di Pasqua, “tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità per mezzo di Gesù Cristo che è principio di tutte le cose”. Siamo qui e siamo al mondo solo per questa esperienza e per questa testimonianza ad ogni uomo. E tanto più sarà un’esperienza quotidiana e continua, quanto più non vivremo che per attaccargli tutta la vita, accesi solo dalla passione di testimoniarlo al mondo intero.