Altre volte avevano sentito parlare Gesù di una sua partenza, di un suo distacco da loro. Spesso riferito come un distacco tragico e doloroso - che anticipava la sua messa a morte e tutto il momento tragico che sarà la sua passione. Ma nessuno aveva mai osato affondare di più sulla realtà di quelle sue parole. Ora è arrivato il momento in cui è proprio inevitabile affrontarla e rivelarla definitivamente da parte di Gesù ai Suoi. È la sera prima della festa di Pasqua, della Pasqua ebraica. Gesù li vuole radunare tutti per viverla con loro. È la sera in cui Gesù vive il gesto della lavanda dei piedi e dello spezzare del pane, preludio al sacramento dell'Eucaristia. Siamo in prossimità della sua passione e della sua messa a morte. Tutto questo è vissuto nella totale inconsapevolezza dei Dodici. Però quella sera percepiscono che c'è qualcosa di grave che sta per accadere e che fa emergere nel loro cuore un grande tremore. È una serata non solo segnata da quei due misteriosi gesti, ma anche da un intensissimo e drammatico silenzio ed ascolto. Gesù li introduce e li accompagna amorevolmente - come, d'altra parte, non ha mai mancato di fare con loro, così come continua a fare con ciascuno di noi - alla rivelazione piena e definitiva della sua presenza e dello scopo della sua presenza tra gli uomini. Noi ci soffermiamo, adesso, solo su quel momento che ci interessa approfondire. Gesù si accorge di questo crescente tremore dei discepoli. Della loro paura di perderlo e della difficoltà, ancora una volta, di comprendere le sue parole. Anche perché Gesù in quella stessa serata è arrivato ad affermare con chiarezza il tradimento di uno di loro, la sua dipartita imminente, l'impossibilità a seguirlo, e il rinnegamento di Pietro, che aveva provato a ribattergli che avrebbe dato la vita per Lui e che lo avrebbe seguito dappertutto. Ancora una volta san Pietro, quest'uomo forse più anziano di Gesù, al solo sentire la possibilità di un distacco da Lui, emerge in tutto il suo struggente attaccamento, dicendogli: “Signore, perché non posso seguirti ora? Io darò la mia vita per te. E Gesù gli rispose: tu darai la tua vita per me? In verità ti dico: prima che il gallo canti mi avrai rinnegato tre volte”. Che botta al cuore di Pietro! Anche se non capisce quello che Gesù sta anticipando. E vedendoli sempre più in difficoltà riprende a parlargli con una immane tenerezza: “Non si agiti il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede in me... ritornerò a prendervi con me: così dove sono io sarete anche voi. Del luogo dove vado voi conoscete la via”. A questo punto interviene Tommaso, che gli dice: “Signore, non sappiamo neppure dove vai e come possiamo conoscere la via? Gesù rispose loro: io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre. Ma già da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Prende allora la parola Filippo, dicendogli: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù di rimando: “Filippo, Filippo da tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Perché mi chiedi: mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?... Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro credete per le opere”. Nelle parole di Tommaso e nella richiesta di Filippo non c'è nulla di sbagliato. In fondo esprimono e rappresentano tutta la necessità e l'urgenza del cuore di un uomo. Solo Colui che dà la vita a ciascuno e ad ogni cosa può bastare, cioè corrispondere e soddisfare l'originale e ineludibile anelito del cuore di ogni uomo. Non è sbagliata la domanda di Filippo o quella di Tommaso. E Gesù non corregge la domanda. Li richiama su ciò che non hanno ancora riconosciuto di Lui in tutti questi anni di convivenza. Quella domanda infatti fa emergere che non hanno riconosciuto Gesù come la piena risposta. E ancora una volta non si tira indietro, riaffermando e rivelando se stesso fino in fondo: sono io, proprio io che vi parlo adesso. Io sono la via, la verità e la vita. Da tanto tempo sono con voi e non mi avete ancora conosciuto? Chi vede me - proprio me, colui con cui siete stati in tutti questi anni - ha visto e vede il Padre. Sono io che rivelo pienamente il Padre e il suo amore per ogni uomo. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio. Dobbiamo soffermarci su questa risposta di Gesù. Perché è proprio qui che ci viene rivelata la coincidenza in Lui tra il “contenuto” - quello che Lui è, il vero volto del Padre - e il metodo, la strada per riconoscerlo e per viverlo come Colui che rivela il Padre. E quindi per riconoscere e vivere il Padre. Gesù dice: io sono la via, la verità e la vita. Attenti bene: il peso dell'affermazione sembra cadere solo sull'essere “via”, cioè sull'essere la strada che conduce alla verità e alla vita. Ma non è così. Io sono la via perché ed in quanto sono la verità e la vita. Proprio perché è la verità, proprio perché è la vita, la verità e la vita fatte uomo, può affermarsi come via e come l'unica via. Io sono la verità, e in quanto lo sono, ne sono contemporaneamente l'unica via di accesso continuo e di rapporto costante. Gesù non dice: io vi dico e vi indico la verità. E nemmeno che lui ci indica la via della verità. Ma: io sono la via, io sono la verità, io sono la vita. Il grande teologo von Balthasar dice: “Tra Socrate e Cristo nel punto decisivo esiste soltanto opposizione, giacché Socrate può solo rimandare alla verità che egli non è, mentre Cristo è la verità e quindi può parteciparla attraverso se stesso”. Gesù non dice di sapere la verità e di sapercela indicare. Questo può farlo qualsiasi uomo. Gesù dice qualcosa che ha una pretesa unica nella storia. Il grande Romano Guardini ne L'essenza del cristianesimo, la chiarisce così: “Cristo non dice dunque: io vi mostro la via, ma io sono la Via. Non: io v'insegno la verità, ma io sono la Verità. Non: io vi apporto la vita, ma io sono la Vita. Non: io ho visto il Padre e racconto del Padre, ma chi vede me vede il Padre”. La verità di cui parla Gesù è proprio la rivelazione in se stesso di Dio e del suo disegno salvifico. È la comunione tra il Padre e il Figlio, di cui Gesù è la trasparenza, la piena e reale manifestazione attraverso cui l'uomo è chiamato ad accoglierla e a viverla. Ed è chiamato ad accoglierla e a viverla nella fede come riconoscimento pieno di Gesù. Una fede non contrapposta alla ragione ma in cui la ragione trova il suo apice proprio nell'apertura umile e fiduciosa alla sua presenza, che sola può introdurci continuamente alla conoscenza vera di Dio, in quanto rivelazione unica, reale e piena di Dio Padre. Quando Filippo riprende la parola - dopo l'intervento di Tommaso e la risposta di Gesù - mostra ancora di non capire che Gesù ha già risposto quando ha affermato di essere la via, la verità, la vita. Cioè la presenza dove il Padre si rivela e si manifesta pienamente. “Mostraci il Padre e ci basta”. Non è sbagliata la domanda. Ma Filippo la pone perché è ancora alla ricerca di una manifestazione eclatante e sensazionale di Dio. Dimenticando e staccandosi da tutta l'esperienza di eccezionalità vissuta, fin dagli inizi, alla presenza e alla sequela di Gesù. Sospende la memoria a vantaggio ancora di una sua immagine. “Filippo, Filippo da tanto tempo sono con voi e non mi avete ancora riconosciuto?”. Gesù non lo vuole rimproverare. Ma è come se volesse aiutarlo alla memoria e al giudizio dell'esperienza vissuta con Lui. A rientrare e a dare il giudizio dell'esperienza di eccezionalità impossibile da cui si è ritrovato investito, insieme agli altri, nella sequela di Gesù, fin dal primo incontro. Vuole risvegliare in loro, come adesso in noi, la memoria e il giudizio dell'esperienza vissuta con Lui per tre anni, e portarli al giudizio della ragione sull'avvenimento di continua straordinarietà e inaudita eccezionalità che si sono ritrovati nel cuore stando e vivendo con Lui. Perché ci si apra alla conoscenza della fede, cioè al pieno e definitivo riconoscimento della presenza di Cristo come Colui che rivela il Padre Iddio, consistenza di tutto e di tutti. Vedere Dio, l'abbiamo più volte ripetuto, è la massima esplicitazione del desiderio dell'uomo, è la massima soddisfazione dell'esigenza del cuore, il massimo compimento della vita. Quindi non è sbagliata la domanda: mostraci il Padre e ci basta. Ma a questa domanda Dio ha risposto. La risposta è Gesù. La domanda è totalmente esaudita e la risposta è Gesù, la sua presenza, proprio quella che sta davanti ai loro occhi, come per noi nella presenza della Chiesa. “Da tanto tempo sono con voi, e non mi hai riconosciuto?”. È come quando, tra di noi, ci richiamiamo gli anni della nostra appartenenza alla Compagnia. Per prendere coscienza e verificare che, dopo anni di cammino, non viviamo nella certezza e nella pienezza della presenza di Gesù come Colui in cui consiste tutta la vita; nella certezza e nella pienezza della fede come avvenimento decisivo che investe totalmente la vita e la esplicita in ogni suo istante. Anche per noi è urgente questo richiamo. Perché è evidente come alcuni di noi si siano fermati al fenomeno entusiasmante delle origini della Compagnia - come abbiamo visto per la folla nel gesto della moltiplicazione dei pani - non andando fino in fondo alla ragione costitutiva di questa. Non aderendo a questo cammino per l'avvenimento di Cristo che l'ha tessuto e lo presenzia per il continuo rapporto con ciascuno di noi. Ma arrestando e riducendo il cammino alla partecipazione a gesti e iniziative, a un momento aggregativo, spesso contrassegnato da estenuanti richiami e intimistici rapporti, in cui ritrovarsi ad imparare delle parole o dei comportamenti morali; in cui non solo pian piano ci si è ritrovati a dare per scontata e di fatto a soppiantare la presenza di Cristo, ma anche il nostro umano, anche l'esperienza del nostro umano, della ragione, del cuore, del desiderio. Guardate che, come per quei primi uomini, anche per ciascuno di noi non c'è possibilità di evitare, di saltare o di semplificare il giudizio di questi anni di appartenenza alla Compagnia. La nostra Compagnia e il suo cammino, con tutti i suoi gesti, richiami e rapporti, ci sono solo per la contemporaneità della nostra vita alla sua presenza. Perché la vita conosca e riconosca Gesù come la rivelazione del mistero del Padre in cui tutto consiste e a cui tutto è destinato. Se non si arriva qui non andiamo da nessuna parte, non c'è la fede e quindi non c'è la vita. Gesù affermandolo a loro, lo riafferma a ciascuno di noi: “Chi vede me vede il Padre. E nessuno viene al Padre se non per mezzo mio. E nessuno viene a me se non perché lo attira il Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”. E poi aggiunge anche un'espressione particolare e concretissima: “Se non altro credete per le opere”. Anche in questa brevissima affermazione, Gesù manifesta tutta la sua indomabile iniziativa verso quegli uomini, perché arrivino a riconoscerlo. Soprattutto il suo tentativo di provocare la loro ragione chiamandoli alla memoria e al giudizio delle opere di cui loro sono stati sempre testimoni oculari. Chiamandoli alla memoria e al giudizio dell’unicità ed eccezionalità della sua presenza, delle sue parole e delle sue opere, che proprio dalla loro bocca è sempre emerso indiscutibilmente come esperienza impareggiabile e impossibile da trovare, da immaginare, da poter inventare. Nel lungo e drammatico cammino dei Primi con Gesù c'è realmente il parametro di tutto quello che dobbiamo imparare, il parametro del cammino della fede, del cammino dell’umano perché si arrivi alla fede, alla certezza della verità della sua presenza. Perché ne sia investita tutta la vita. Il cuore, per come ci è dato e per come è fatto, è nella possibilità di riconoscerlo solo in un’assoluta e permanente condizione di umiltà, semplicità e povertà di spirito, sostenuto dalla vera dinamica della ragione e dal continuo coinvolgimento della libertà. Nell’adesione e nella sequela a questo cammino vissuto per la presenza di Cristo, e che Gesù stesso vive con noi come con i suoi primi amici. Ai quali, come abbiamo visto, non semplifica nulla di questo cammino umano. Coinvolgendoli e sfidandoli continuamente nella loro ragione e nella loro libertà. Richiamandoli sempre all’atteggiamento necessario della povertà, dell'umiltà e della semplicità. Necessario perché l'unico adeguato alla natura del cuore e della vita, per una continua accoglienza della sua presenza, e perché Lui stesso possa afferrarci e portarci alla verità e alla certezza della sua presenza.
Nicolino Pompei