QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Per la fede di un istante

Dall'approfondimento “Ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato”

Se c’è un momento che fa a pezzi tutte le immagini, le congetture, le riduzioni, il moralismo con cui possiamo pensare e vivere la fede – e anche tutta la nostra astratta, artificiosa e cervellotica comunicazione rispetto ad essa –  è proprio quello che andiamo ad incontrare in questo episodio. Siamo all’apice della tragedia della passione di Gesù, quando Gesù viene inchiodato sulla croce. Il Vangelo narra che «assieme a lui venivano condotti all’esecuzione due malfattori. Giunti al luogo detto “Teschio”, crocifissero lui e i due malfattori, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra»[1]. L’Evangelista, dopo l’essenziale descrizione di come – anche da crocifisso – Gesù veniva schernito e oltraggiato, ci riferisce anche il breve e struggente “dialogo” che emerge tra i due malfattori crocifissi e Gesù. «Uno dei malfattori appesi alla croce lo bestemmiava dicendo: “Non sei tu il Cristo?… Se lo sei, salva te stesso e anche noi!”». Ma l’altro lo rimbeccò dicendo: «Neanche tu hai il timore di Dio? Eppure subisci la stessa condanna. Per noi è giusto che sia così, perché siamo ripagati per quanto abbiamo fatto. Egli invece non ha fatto nulla di male». Poi, rivolgendosi verso Gesù, gli disse: «Ricordati di me quando sarai nel tuo regno». E Gesù, nonostante fosse straziato dal dolore, facendo del tutto per girarsi verso quell’uomo, per cercare di intercettare i suoi occhi, così gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso».

Di quest’uomo crocifisso accanto a Gesù non sappiamo nulla, se non che viene ritenuto un malfattore e condannato come un delinquente. Probabilmente, insieme all’altro, avrà fatto parte di quelli che cercavano di ribellarsi al dominio dell’impero romano, commettendo violenze e attentati verso i soldati. Quello che sappiamo con chiarezza è che entrambi vengono condannati come malfattori e per questo crocifissi insieme a Gesù. Però, mentre uno lo maledice e lo rifiuta, l’altro, ammettendo la propria colpa senza attenuanti, mendica di essere perdonato e accolto da Lui. È come se quest’uomo, incontrando e vedendo Gesù crocifisso, avesse presentito, di colpo, nel suo cuore, la natura divina di quella carne straziata, sanguinante e crocifissa accanto a lui. Un presentimento commosso che lo spinge a rivolgersi a Gesù con uno degli atti di fede più immediati e struggenti che si possano incontrare. Si rivolge a Lui come un peccatore che mendica il perdono da Dio e di essere accolto nel suo Regno. E Gesù non fa altro che compiere, anche per quell’uomo, tutto quello che ha sempre fatto lungo tutta la sua vita e per cui si è lasciato crocifiggere e ammazzare sul legno della croce: accogliere e perdonare i peccatori. «In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso». Anche se con una voce straziata dal dolore, Gesù garantisce con assoluta sicurezza il Paradiso a quell’uomo che a Lui si è affidato; che a Lui si è affidato «per la fede di un momento», come afferma san Cirillo di Gerusalemme in una delle sue Catechesi[2]. A quell’uomo che a Lui si è completamente affidato per la fede di un momento, per la fede di un istante, Gesù assicura con certezza la vita di una eterna comunione con Lui e che questo accadrà subito, «oggi». È facile comprendere perché io possa avere una predilezione per questo uomo, per questo malfattore. Una predilezione che trova anche il conforto della mia amatissima santa Teresina. Scrive infatti Teresina: «I miei santi favoriti in cielo sono quelli che, per modo di dire, hanno rubato il Paradiso, come per esempio i santi innocenti e il buon ladrone. Vi sono, certo, grandi santi che sembrano quasi di averlo meritato con le loro opere, ma io voglio essere un ladro e rubarlo con uno stratagemma, uno stratagemma di amore che ne aprirà le porte a me e a tanti altri poveri peccatori»[3].

Io non ho niente da offrirvi se non il mio cuore segnato e commosso dalla stessa mendicanza del buon ladrone e questo mio misero umano perdonato e commosso da Cristo. Niente, se non questo mio misero umano attratto, segnato e commosso dallo sguardo pieno di infinita misericordia con cui Gesù continua a perdonare, a rigenerare e ad esaltare la mia vita. Tutto quello che dico, faccio, vivo è radicalmente segnato e deciso da questa continua commozione e da una sconfinata gratitudine: da una sconfinata gratitudine commossa che mi riempie e mi fa ardere il cuore di una indomabile passione per la vita di ogni uomo – a partire dalla vostra – perché possa trovarsi nel medesimo avvenimento di perdono, di esaltazione e di salvezza.

Desidero adesso proporvi un’ulteriore riflessione e far emergere un’altra provocazione rispetto a questo episodio. Lo faccio servendomi delle parole di san Paolo: «Tutti hanno peccato, tutti sono privi della gloria di Dio e sono giustificati solo per la grazia di Lui, per mezzo della redenzione di Cristo Gesù»[4]. Se tutti hanno peccato, se tutti sono privi della gloria di Dio e sono giustificati solo per la grazia e la redenzione di Cristo, nessuno può evitare di confrontarsi con ambedue i malfattori appesi in croce accanto a Gesù. Nella carne dei due malfattori siamo chiamati a riconoscere la carne di tutta la nostra miseria, di tutto il nostro peccato e di tutta la nostra obiezione a Cristo e alla sua grazia. E se proviamo ad immedesimarci con quel tragico momento, possiamo vedere che Gesù in croce assume tutta la carne di questa miseria. Nella sua carne trafitta e sanguinante vediamo tutta la carne della nostra debolezza mortale e della nostra obiezione a Lui, che Gesù assume totalmente su di sé portandola sul legno della croce. La carne di Gesù – dentro tutto il cammino della sua passione fino alla sua crocifissione – va sempre più assomigliando a tutta la nostra carne straziata dalla miseria, dal peccato, dal rifiuto di Lui: quella carne che assume tutta su di sé fino al legno della croce. Gesù assume su di sé la carne e prende i connotati di quel malfattore crocifisso accanto a Lui che lo bestemmia, che è ostinatamente chiuso e nel rifiuto di qualsiasi possibilità di perdono. Mentre la carne dell’altro malfattore – quell’uomo pentito e perdonato in un istante, per la fede di un istante, a cui Gesù ha promesso il Paradiso subito – va sempre più assomigliando a Gesù risorto: proprio perché è una carne investita dallo sguardo e dal perdono di Cristo, abbracciata e investita dalla misericordia di Dio nello sguardo e nel perdono di Cristo; proprio perché è rigenerata e trasfigurata dal sangue versato da Cristo sulla croce per la salvezza di ogni uomo, che si riversa sulla sua carne facendola emergere nei connotati della carne dell’uomo nuovo, perdonato, redento e salvato.

Di fronte a Gesù siamo sempre e comunque nella provocazione della nostra libertà. Dentro qualsiasi momento o condizione – anche in quelli più contrassegnati da una deplorevole miseria o da un reiterato grave peccato, fino a quelli che ci trovano dentro una resistenza o una chiusura – ciascuno di noi, per la fede e il cedimento di un istante, può cominciare e ricominciare a guardare Gesù; può cominciare e ricominciare ad incontrare il suo sguardo, ad aprire il suo cuore, a mendicare di essere rigenerato dal suo perdono, dal suo abbraccio redentivo, dal suo amore che è solo misericordia. Oppure può persistere, in un atteggiamento di chiusura e di rifiuto, a opporre una propria misura, una propria presunzione, riconsegnando sé stesso alla maledizione della debolezza mortale. È il dramma della nostra libertà. Una libertà sempre chiamata ad essere in gioco e che non potrà mai essere presupposta o semplificata. Nella certezza che tutto quello che in noi è stato un “no” fino a un istante prima, grazie alla infinita misericordia di Dio che non viene mai meno e per la fede di un istante, può diventare un “sì”, un “sì” a Cristo sempre presente, sempre pronto al perdono, sempre acceso dal desiderio di poterci abbracciare nella sua misericordia e rigenerare alla vita in Lui.

«Io non sono degno… ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato». Guardate che il riconoscersi indegni non è un modo ossessivo di ingiuriare o screditare sé stessi, né immediatamente un richiamo alla nostra immoralità. Ma semplicemente l’affermazione consapevole della nostra assoluta sproporzione e incapacità rispetto a ciò che siamo. Siamo indegni comunque – al di là dei nostri peccati, che possono solo aggravare questa originale indegnità – proprio perché siamo creature e creature segnate da una radicale debolezza mortale, e quindi solo e sempre bisognose di misericordia. Solo e sempre bisognose della presenza di Cristo che venga a colmare la nostra costitutiva sproporzione, a vincere la nostra strutturale incapacità, a corrispondere all’assoluto desiderio di Infinito del cuore, a soddisfare la radicale fame e sete che siamo di Lui, a ricostituirci uomini a immagine e somiglianza di Dio, e a introdurci al cammino del rapporto con Lui e quindi al cammino della vera e piena Beatitudine. Siamo solo e sempre creature bisognose di essere salvate e redente. E certamente di essere salvate e redente dalle tragiche conseguenze esistenziali del nostro peccato, di quel deleterio tentativo di volerci fare “dio”, di sederci in cattedra – nella cattedra della nostra vita – al posto di Dio, di assicurare a noi ciò che è di Dio. Attenti bene, quando diciamo «bisognose di essere salvate», parliamo di una salvezza che non riguarda immediatamente l’aldilà ma innanzitutto l’aldiquà: una salvezza che ha a che fare con il nostro umano nel suo quotidiano rapporto con la realtà, con l’affronto quotidiano della realtà fatta di circostanze, problematiche, relazioni, istanze più o meno drammatiche, più o meno intense, anche banali: quelle che siamo chiamati quotidianamente ad attraversare e che molto spesso ci accadono in maniera imprevista; quelle che ci fanno gridare – come la Cananea – nell’aldiquà di un quotidiano che così spesso ci «spezza le gambe», di un quotidiano che così spesso ci trova aggrediti, dominati, paralizzati da paure e angosce, in un clima di rabbia o rassegnazione, di violenza e ingiustizia, di divisione e frammentazione, di patologica sfiducia verso noi stessi, verso gli altri, verso tutti. È dentro questo “aldiquà” che sperimentiamo il bisogno della presenza di Cristo a cui poter gridare: «Signore, abbi pietà di me, vieni a salvarmi, vieni ora a salvarmi; di’ soltanto una parola ed io sarò salvato, ed io sarò ricostruito, rivitalizzato e rigenerato alla vita». Tutto questo è un’esperienza che può essere ritrovata in noi per la fede di un momento, per la fede di un istante. Anzi, solo per la misericordia di Dio che nella fede di un istante può polverizzare i nostri peccati e rigenerarci alla vita in Lui.

E attenti bene: solo nell’esperienza della sua misericordia, quell’avvenimento di attrattiva sconvolgente e irresistibile suscitato dall’incontro con Gesù – che possiamo aver relegato al passato, magari ai primi momenti dell’incontro con la compagnia – può essere ora rinvenuto nell’esperienza di un nuovo inizio, di una rinnovata attrattiva, nella grazia e nello stupore del suo fascino originale. Anche solo per il cedimento di un istante alla sua infinita misericordia, la nostra vita può sorprendersi sempre nell’esperienza di un nuovo inizio e costellata di nuove ripartenze. Ed è proprio necessario che non venga mai meno l’esperienza di un nuovo inizio, di una rinnovata attrattiva, di una sorprendente rinascita se non vogliamo ritrovarci, al posto di uno sguardo commosso, di una commossa e sconfinata gratitudine e passione esistenziale, la pesantezza e la tristezza di una vita e di un’appartenenza fatta solo di parole e pensieri astratti, formulazioni e definizioni teoriche di contenuti di verità, che possono solo appesantire la testa, imprigionarci a degli schemi, arrestare la nostra maturazione, inchiodarci a una continua lamentazione piena di rancore e di pretese verso gli altri; che possono solo farci ritrovare a indossare delle maschere o a recitare delle parti per cercare di mostrare ciò che non siamo perché lontani e decentrati da Cristo, e quindi dall’esperienza di quell’umano redento e di quell’impareggiabile vita che sempre e dappertutto nominiamo e richiamiamo. Ma la presenza di Gesù è sempre più grande e non indietreggia mai da noi, non si stanca mai di noi, non si stanca mai di riprenderci, di perdonarci, di assolverci e farci ricominciare. Proprio ora, anche attraverso questo incontro, ce lo sta mostrando.

[1] Cfr Lc 23,32-43

[2] Cfr Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 5,10-11

[3] Cfr Teresa di Lisieux, Consigli e ricordi, Città Nuova Editrice, Roma, 2013, p.44

[4] Rm 3, 23-24

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