QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Riemerge il cuore nel suo battito originale

Dall'approfondimento "La bocca non sa dire, né la parola esprimere: solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù"

È sempre necessario approfondire il giudizio della piena corrispondenza ritrovata nel momento dell’incontro con Gesù e continuamente sperimentata nel rapporto con Lui. Riprendiamo questo brano della relazione di Nicolino al nostro XVII Convegno, perché ci conduca a verificare in noi l’esperienza di quella Presenza che investe e colpisce il cuore, facendolo emergere nel suo battito originale e nella sua attesa infinita. È proprio la caratteristica dell’incontentabilità, mai fino in fondo manipolabile, che rende il cuore oggettivo nel giudicare corrispondente alla sua natura solo la Presenza del Mistero che lo ha fatto per Sé. Accogliamo la testimonianza della Samaritana – insieme a quella di san Paolo, che ha particolarmente segnato il nostro cammino di quest’anno – come un’ulteriore occasione, piena di una Grazia tenerissima, perché il nostro rapporto con Cristo sia nella medesima esperienza di attrattiva e profondità del nostro essere.

“Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne...” (Ez 36, 26-27) . Ancora una volta ritroviamo affermata la struggente iniziativa di Dio sull’uomo, profezia della redenzione di Cristo. Una iniziativa che investe il fattore che, anche nella Bibbia, è più rappresentativo dell’uomo nella sua essenzialità e totalità: il cuore. “Vi darò un cuore nuovo” non significa un cuore diverso cioè di altra natura da quello che Dio stesso ha posto dentro di noi chiamandoci alla vita, da quello che Dio ha tessuto tessendo la nostra vita nel grembo di nostra madre. Il cuore nuovo è il cuore così come Dio l’ha posto in noi. Il cuore di pietra è invece indicativo della nostra irrazionale, insensata e tragica pretesa di volerlo definire e di esserne presuntuosamente adeguata ed indiscutibile capacità di risposta o di soddisfazione. Il cuore di pietra è “roba nostra”. È affermativo della vita che si ritrova imbalsamata, impietrita, paralizzata da quelle immagini, da quei pensieri e opinioni in cui la costringiamo, la soffochiamo e la deludiamo. Cosa volete che diventi una vita assicurata a irrazionali e relativiste interpretazioni e a variopinte, umorali e istintive risposte e soddisfazioni che scaturiscono da una testa impregnata di mentalità del mondo? Di un “mondo” giurato nemico dell’uomo e tutto mobilitato, soprattutto a livello culturale, a strapparlo dalla sua radice vitale. Cosa volete che senta il nostro cuore quando abbiamo la pretesa di nutrirlo e investirlo continuamente di fattori e rapporti estranei, non corrispondenti e quindi inadeguati alla sua vera natura? Si ritrova come impietrito e inaridito nell’indurimento tragico e continuo di amarezze e delusioni. Eppure anche dentro questi momenti non perde mai di emergere, di affermarsi e di documentarsi nella sua vera natura, tessuta dall’Infinito per l’Infinito, creata dall’Eterno Amore per l’Amore Eterno. Questa mattina mentre pregavamo il Salmo 117, che ci fa ripetere insistentemente “eterna è la sua misericordia”, mi veniva da pensare che la prima manifestazione della misericordia di Dio è proprio nell’averci fatto con questo cuore. Nell’averlo tessuto in noi con questa natura ed esigenza indomabile ed irriducibile, come affermano le sempre care parole di sant’Agostino: “Ci hai fatto per te Signore, e il nostro cuore è inquieto se non riposa in te”. E non sarà mai possibile ridurre a niente il nostro cuore. Dentro tutte le macerie che possiamo ritrovare in una vita nutrita, abbeverata, avvelenata dalla menzogna, il cuore rimane ultimamente irriducibile, sempre vivo ed indomabile nella sua esigenza infinita. E quindi oggettivo come criterio. Tanto da saper riconoscere chi lo può totalmente soddisfare e la menzogna di chi ne ha la pretesa. Sa riconoscerlo infallibilmente perché non è accontentabile se non dall’Infinito, dall’Eterno, dalla Verità. “La verità è che le cose finite possono dare barlumi di gioia ma solo l’Infinito può riempire il cuore...”, ha affermato Benedetto XVI ai giovani di Assisi. Infallibilmente il cuore sa riconoscere la voce e la presenza di Chi l’ha fatto amandolo e lo ha fatto per sé. “Vi darò un cuore nuovo...”. Il cuore nuovo allora non è un altro cuore. È semplicemente il cuore che, nella Grazia inaudita della morte e resurrezione di Gesù, nella presenza di Cristo redentore e nella continua memoria di Lui, è riaffermato nella sua vera natura, origine ed esigenza. Nella morte e resurrezione di Cristo - apice e compimento delle parole del profeta Ezechiele - e alla sua Presenza, riaccade e si riaccende il cuore vero. Dal cumulo di pietre e macerie da cui è appesantito e schiacciato e in cui sembra come morto, sorprendentemente emerge, emerge nuovamente in tutto il suo battito originale e nella sua attesa infinita.

Tra i tanti, nel Vangelo c’è un momento struggente, a me carissimo, che lo testimonia e sul quale vorrei un attimo entrare con voi. Pensiamo a quella donna della Samaria, la samaritana, una donna di cui non ci viene detto nemmeno il nome e che tutti noi immaginiamo come una prostituta e comunque “consegnata” ad una molteplicità di uomini. In più, una samaritana. Vi basti sapere che per un giudeo non c’era insulto peggiore che essere paragonato a un samaritano. Pensiamo quale cuore e quale umano pietrificato possono ritrovarsi intimamente in una donna così. Pietrificato dall’umiliazione, dalle offese, dalla diffidenza, dalla rassegnazione, dall’assuefazione... Ma un giorno le accade Gesù. In uno dei tanti gesti, ripetuti quasi meccanicamente dentro una giornata - l’andare a riempire la brocca di acqua nel pozzo davanti casa - le accade l’incontro con Gesù. Chissà quante volte l’avrà fatta quell’operazione, chissà quante volte l’avrà fatta senza nemmeno pensarla. E chissà quante volte avrà fatto quel breve percorso da casa sua al pozzo, sentendosi addosso il velenoso e mortificante pregiudizio di coloro che la vedevano uscire ed abbassarsi per attingere l’acqua. Pensiamo quante spregevoli battute avranno “battuto” la sua carne. Ma quel giorno, dentro quel solito gesto, accade Gesù. Le accade la presenza di Gesù che è seduto e appoggiato a quel pozzo. Tutti abbiamo presente il dialogo che inizia tra i due. Ho chiamato in causa la samaritana e l’episodio dell’incontro con Gesù perché vorrei che ci soffermassimo solo su un momento di quell’incontro. Il momento in cui la samaritana sente sorprendentemente emergere proprio dal cuore qualcosa che la supera e che non riesce a contenere. È come se di colpo avesse sentito il cuore riemergere in tutta la sua vitalità di esigenza ed attesa. Tanto da non poter contenere il presentimento di trovarsi davanti al Messia. “... La donna gli disse: so che deve venire il Messia, cioè il Cristo; quando verrà ci annuncerà ogni cosa. Le dice Gesù: sono Io che ti parlo... La donna, dimenticando la sua anfora, corse in città dicendo a tutta la gente: venite a vedere un uomo che mi ha detto tutte le cose che ho fatto: non sarà forse lui il Cristo?”. È la corrispondenza che il cuore non manca mai di farci sentire. Il cuore sa riconoscere la voce del Mistero che lo ha fatto per sé. Ed è così vero che quella donna, distruggendo e superando di colpo tutte le impalcature dentro cui la sua vita era imprigionata e tutti pregiudizi da cui era continuamente ridicolizzata ed offesa, corre e corre a dirlo a tutti. Non è più limitata e arrestata dalla sua condizione o dalla pregiudizievole selezione di rapporti con cui intrattenersi. Corre e corre verso chiunque incontra per gridare l’emergere di questo presentimento che diverrà man mano la certezza del suo cuore. Verificabile, non a caso, proprio dalle sue prime, spontanee e razionali parole, con le quali afferma di aver incontrato Uno che le ha detto tutto di lei e capace di leggerle il cuore. Una presenza eccezionale capace di leggerle il cuore e di riaccenderla alla vita. È l’inaudita iniziativa dell’Eterno Amore di Dio che nella presenza di Cristo ininterrottamente cerca e chiama ciascuno per nome, mendicando di entrare come il solo Ospite veramente atteso e adeguato alla vita, che riafferma il cuore per riaffermare la vita. L’Ospite veramente gradito e decisivo per la festa della vita. È Colui che la bocca non sa dire né la parola esprimere ma che solo chi ne ha fatto e ne fa esperienza può e deve dire e affermare, anche con la bocca e le parole. Comunque, sempre nella insostituibile credibilità dell’umano che vive.

Nicolino Pompei

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