L’occasione della memoria di questi venticinque anni è propizia per riprendere il primo volantino con cui ci siamo introdotti nelle piazze e tra la gente, all’inizio della nostra storia. “La cosa più sicura che può dirsi di un uomo, di ogni uomo, è che egli in ogni momento della sua vita - anche se non lo sa - è desiderio di felicità, è alla ricerca di qualcosa o qualcuno che può renderlo felice. Muove ogni passo, compie qualsiasi azione o scelta nella speranza di realizzare questo suo costitutivo desiderio. Eppure in ogni suo tentativo egli rimane continuamente inappagato e deluso… Ritrovandosi tragicamente ripiegato in una vita di non senso, di noia, di vuoto e di tristezza; in una vita segnata da sogni e delusioni, maschere, fughe e “calmanti”, sfoghi e reazioni… Per poi ritrovarsi imprigionato dentro una patologica rassegnazione in cui la vita lentamente si consuma nella disperazione. Può succedere però - ed è questo che vogliamo testimoniare - che un imprevisto possa accadere e che questo desiderio, inevitabile ed inestirpabile, si trovi pienamente e continuamente soddisfatto. A noi è accaduto nell’incontro sconvolgente - perché non previsto e minimamente considerato - con la presenza e l’avvenimento di Gesù il Nazareno…”. Queste parole, così essenziali e vere, stampate in un semplice volantino più di venticinque anni fa, “cosa” rappresentano oggi per noi? Tutti questi anni sono serviti per incontrarle e riconoscerle nell’esperienza, in una permanente esperienza del nostro umano nel suo quotidiano rapporto con la realtà? Oggi le ritroviamo vere e vive in noi dentro l’evidenza di un’esperienza reale? Perché se non sono un’esperienza, di che cosa stiamo parlando quando diciamo: “Tutti ti cercano”? Come facciamo a dire che “tutti lo cercano” e che il cuore di ogni uomo, anche se non lo sa, cerca il suo volto? Come facciamo a dirlo senza che oggi quelle parole risultino un’evidenza certificata dalla nostra esperienza umana? Tutti questi anni di cammino sono stati dati a ciascuno perché ciò che abbiamo scritto allora - nell’impeto e nell’entusiasmo di un’esperienza reale, di una testimonianza affascinante e visibile - fosse nel tempo continuamente incontrato, riconosciuto, rinnovato, ragionevolmente certificato dall’evidenza di un’esperienza permanente del nostro umano; del nostro umano in tutto e in ogni momento del rapporto con la realtà, senza scartare e censurare nulla. Solo in forza di questa esperienza possiamo oggi stare qui nella certezza che ogni uomo, proprio ogni uomo, non cerca nient’altro che Lui. Anche l’amarissima realtà di tutta la nostra fragilità e miseria, dei nostri fallimentari tentativi di assoggettare la vita alla nostra misura, con tutte le sue letali conseguenze, se lealmente giudicata e riconosciuta alla luce della presenza di Gesù, nell’abbraccio della sua Misericordia, non può che risultare un ulteriore aiuto al disvelamento della vera natura del cuore, della vera pretesa del desiderio, della sostanza del nostro bisogno più profondo. Solo nel dinamismo di questa crescente e rinnovata esperienza possiamo trovarci pervasi da una commossa passione verso ogni uomo ed essere una testimonianza visibile e credibile per la vita di chi ci incontra. Soprattutto in un contesto come quello attuale. Un contesto in cui tutto “cospira a tacer di noi”, tutto è mobilitato a far tacere l’inquietudine più profonda del cuore; tutto è mobilitato e spinge a ridurre il desiderio, a schiacciarlo all’interno di deleterie parzialità, in cui la vita prima o dopo non può che ritrovarsi condannata all’ergastolo di una permanente delusione e a consumarsi lentamente, spesso molto nascostamente, in una inevitabile disperazione: non c’è modo più subdolo e più efficaceper minorare e menomare un uomo - senza farlo fisicamente - della costante e permanente azione di distrazione, riduzione o narcotizzazione dell’inquietudine del suo cuore.
Ma questo giudizio è innanzitutto per noi. Riguarda ciascuno di noi adesso. Altrimenti risulterebbe solo un’altra analisi astratta e sentenziosa. Infatti, possiamo anche noi aver tentato o tentare ancora di far tacere questa inquietudine, magari con la semplice partecipazione alla compagnia, riducendo la nostra appartenenza ad una mera formalità e consuetudine esistenziale, vivendola dentro un continuo rimbalzo cerebrale e verbale di contenuti e definizioni astratte, in cui non manca mai il richiamo a Gesù ma come una realtà estranea al nostro cuore. E tutto questo ha una conseguenza concretissima, perché non saranno mai la formale partecipazione alla compagnia o la ripetizione astratta e incessante di parole che affermano Gesù come l’unica risposta che riusciranno ad accogliere e a pacificare l’indomabile inquietudine del cuore e a corrispondere alla sua irriducibile esigenza. Ma rimane che “il cuore fa il cuore” e non desidera mai meno di quella presenza per cui è stato fatto e ci è stato dato così; rimane che “l’inquietudine fa l’inquietudine” ed è assolutamente irriducibile, quindi impossibile da far tacere e pacificare con qualsiasi parzialità, fosse anche attraverso una devota e attivissima partecipazione alla compagnia. Tutto quello che viviamo, anche nel cammino della nostra appartenenza, se non porta alla presenza di Gesù, a cercare Gesù, ad attenderlo e a lasciarlo entrare come l’avvenimento che decide radicalmente tutto di noi, non serve e non può corrispondere al cuore, non cambia e non esalta la vita: e quindi non testimonia nulla. Ed è proprio ilnostro cuore che puntualmente ce lo “rinfaccia”. Per questo la sua inquietudine è una benedizione e un formidabile alleato. Perché, non sopportando mai meno di Lui, costringe a non cercare, a non attendere mai meno della presenza di Gesù, della sua reale presenza e non di “qualcuno che gli somiglia” - magari parlando astrattamente di Lui. Un drammatico alleato che, quindi,contemporaneamente smaschera tutti quei tentativi di riduzione con cui vorremmo far tacere quell’inquietudine. Ancora una volta non è una questione di coerenza o incoerenza, di fragilità, errori e peccati. C’è semplicemente una questione fondante di mezzo: quella della vera e irriducibile natura del cuore. Come afferma sant’Agostino, il nostro cuore non solo è fatto da Lui ma è fatto per Lui. “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Niente gli basta e tutto rigetta al di fuori di Lui.
Se Gesù è ancora solo un nome, una presenza estranea, assente come esperienza e come avvenimento decisivo, come si può affermare che siamo qui a cercarlo ancora e che tutti lo cercano? E se non è Cristo colui che cerchiamo, chi stiamo cercando? Proprio perché il cuore fa il cuore e quindi non smette mai di desiderare, comunque si cerca sempre “qualcosa”. C’è sempre “qualcos’altro” che, magari nascostamente o inconsapevolmente, si cerca come ultimo fondamento sul quale far poggiare e far consistere la vita. Ma questo, prima o dopo, ha sempre una sua evidente visibilità proprio nella realtà dell’umano, nel modo di stare e di rapportarsi con la realtà quotidiana.
Se la verità delle parole del nostro primo volantino non trova oggi in noi i primi testimoni attraverso un’esperienza in cui, con il passare del tempo e nel rapporto con la drammatica realtà di tutti i giorni, si è certificata e affermata con evidenza al nostro sguardo e al nostro giudizio, non possiamo essere qui nella certezza che tutti lo cercano. Anche perché saremmo noi i primi a non cercarlo, a stare qui senza attenderlo. Presi dal flusso emotivo di questo gesto, potremo anche dirlo ma, di fatto, sarà sempre qualcos’altro che cercheremo. Sarà sempre da qualcos’altro e non da Lui che ultimamente attenderemo la nostra soddisfazione, la nostra affermazione, la nostra consistenza e realizzazione, anche il cambiamento di noi stessi o della realtà quotidiana. E questo “qualcos’altro” può benissimo convivere con una formale e devota partecipazione alla compagnia o addirittura coincidere con la stessa compagnia, dentro una grave riduzione della compagnia. Noi possiamo anche essere qui sinceramente presi da una ripetizione di parole e definizioni sull’esigenza del cuore, ma è tutta un’altra cosa esserci nella evidenza esperienziale della sua acuta esigenza. Anche le più puntuali e belle definizioni non hanno bisogno di essere semplicemente ripetute, ma di essere sempre incontrate e guadagnate attraverso l’esperienza di ciò che portano e affermano.
Come condivideva una mamma che ha un figlio gravemente ammalato, lei non aveva bisogno di qualcuno che le ripetesse il valore infinito di suo figlio, la provocazione che questa circostanza poneva alla sua vita e alla sua fede. La novità e la differenza sono state quando ha cominciato a vivere e a sperimentare suo figlio così, come un valore infinito, e quindi a godere quello che per tanto tempo, anche sinceramente, aveva ripetuto. Questo vale sempre, vale per tutto quello che ci diciamo e riceviamo nel nostro cammino. E le circostanze che ci accadono, e che siamo chiamati ad attraversare, sono la modalità che ci è data per guadagnare nella carne viva della nostra vita la realtà e la verità di ciò che diciamo. È lo stesso incontro con la presenza di Cristo che impone e acuisce sempre questa dinamica esperienziale. Perché Gesù vuol essere riconosciuto e si vuole mostrare dentro un’esperienza permanente che faccia di noi i primi giudici e testimoni della sua presenza e di quello che afferma. Allora non basta un’assidua ripetizione o un’ulteriore acquisizione di definizioni sul cuore, sulla sua inquietudine ed esigenza, senza che queste si ritrovino e permangano dentro un’esperienza che ce le faccia incontrare e sentire vive e reali. Perché solo dentro questa acuta e vivissima esperienza non viene mai meno il bisogno e l’urgenza di cercare sempre Gesù, di attenderlo continuamente. Solo così possiamo ritrovarci in quella incessante tensione, propria all’anelito del cuore, di cercarlo e attenderlo sempre.
Proprio questa mattina abbiamo pregato: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, fin dall’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia”. Quello che abbiamo proclamato con la bocca è tutto il nostro desiderio, è tutta l’attesa del nostro cuore sempre, fin dal primo mattino. Ora, domandiamoci se, fin dal primo mattino, siamo centrati e presi da questo desiderio; se, fin dal primo mattino, siamo nella domanda e nell’attesa della sua presenza come sorgente e avvenimento decisivo di tutto noi stessi e di ogni nostra azione; se, fin dal primo mattino, siamo presi da questa domanda e attesa di Lui perché ci introduca e ci accompagni dentro la vita di ogni giorno - una vita così spesso contrassegnata, proprio fin dal primo mattino, da momenti, relazioni e circostanze drammatiche. Rimane comunque che questo è il nostro cuore e che la vita - la massima qualificazione e pienezza della vita, l’unica capacità di affronto della vita - sta tutta in questa domanda, questa ricerca, questa attesa di Lui e del suo volto, fin dal primo mattino. Una domanda e un’attesa sostenute sempre da un cammino fatto di volti, gesti, testimonianze che siamo chiamati a seguire perché Gesù sia quella presenza pensata, cercata, anelata come la pensavano, la cercavano, la anelavano i primi amici di Gesù: tutti quelli in cui si è riversato lo sguardo di Gesù, quello sguardo unico, eccezionale e così irresistibile di Gesù. Partendo da punti diversi, da condizioni diverse, da bisogni diversi, sono tutti parametro essenziale per noi di questo cercare, mendicare e attendere Gesù. Ne abbiamo incontrati tanti in questi anni: uomini e donne che sono diventati per noi una compagnia irrinunciabile.