“Durante le settimane del mese di maggio fino ai primi giorni di giugno del 1989, migliaia di giovani studenti cinesi, mossi dall’irriducibile desiderio di libertà, di verità, di felicità si fecero interpreti del bisogno di milioni di loro connazionali di vivere in un Paese più libero e democratico. Per questa libertà «sì cara» non esitarono a sacrificare le loro giovani vite. Nella ricorrenza dei trent’anni da quei giorni, vogliamo far riecheggiare il segno della loro protesta”. Così scrivemmo l’anno scorso sul numero estivo di Nel Frammento ricordando il trentesimo anniversario della protesta di Pazza Tienanmen (“Abbiamo bisogno di lottare, ma abbiamo anche bisogno di essere felici...”).
Allora, in concomitanza con quella ricorrenza, nell’isola di Hong Kong un numero crescente di persone ha cominciato e proseguito irriducibilmente a chiedere al governo cinese che vige anche sull’isola di non girare la faccia e le spalle alle istanze democratiche, di non essere indifferente riguardo alla tutela delle libertà individuali e dei diritti umani.
In questi giorni le autorità cinesi, per osservare le dovute cautele sanitarie legate all'epidemia di coronavirus, hanno proibito che ad Hong Kong si celebrassero le veglie per ricordare le vittime della carneficina di Piazza Tienanmen. Ma nonostante questo, decine di migliaia di persone lo scorso 4 giugno a Hong Kong, sfidando il divieto della polizia, sono scese in piazza per la democrazia, con le candele in mano e manifestando a gruppi di otto per ovviare ai limiti imposti dalle regole anti-pandemia. Fra i momenti programmati c’è stata la veglia al Victoria Park e delle messe in memoria degli uccisi (“Mons. Joseph Ha, messa per Tienanmen: il popolo prima del governo, la verità prima dell’interesse”). Le autorità di polizia sono intervenute facendo uso della forza contro i dimostranti, e ne sono scaturiti scontri e arresti. L’ennesima mossa che sotto le mentite spoglie di mantenere l’ordine pubblico, è mirata ad imbrigliare ulteriormente un popolo che da un anno chiede solo la tutela dei propri diritti. In questi primi giorni di giugno, in cui quotidianamente la Santa Madre Chiesa attraverso la liturgia quotidiana ci ripone davanti i santi martiri di ogni epoca che si sono lasciati mettere a morte pur di non rinunciare ad affermare l’Amato del cuore, il Signore della vita, colui che è la Vita stessa, torniamo ancora a far riecheggiare il grido dei giovani e delle giovani, degli uomini e delle donne di piazza Tienanmen. Anche loro sono segno, ieri come oggi, di uomini e donne che in qualsiasi latitudine del mondo, dalle zone più remote dell’Africa come alle metropoli americane, continuano a gridare alle autorità e ai governanti il compito di tutelare e garantire l’innato diritto alla libertà e il dovere di qualsiasi Stato di non indietreggiare né osteggiare in alcun modo tale grido.